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UN PERFETTO IDIOTA – FRANK IODICE – intervista all’Autore a cura di Iannozzi Giuseppe

UN PERFETTO IDIOTA – FRANK IODICE

Ovvero, l’importanza di non avercelo un nome!

intervista all’Autore a cura di Iannozzi Giuseppe

Un Perfetto Idiota – Frank Iodice

Frank Iodice, è appena uscito il tuo nuovo romanzo, Un perfetto idiota (Il Foglio letterario). A mio avviso, è il tuo un lavoro molto sentito, non confezionato a tavolino per essere gettato in pasto al pubblico e morta lì. Purtroppo, come ben sappiamo, il rischio di fare della Letteratura che duri nel tempo potrebbe non ripagare nell’immediato, per questo ti chiedo: ha ancora senso scrivere con passione sforzando ai limiti estremi il proprio talento?
Lancio una provocazione: non sarebbe forse più semplice scrivere alla boia d’un Giuda, confezionare libri da una botta e via, vale a dire dei prodotti che gonfino subito le tasche dello scrittore e dell’editore? In fondo il panorama editoriale è invaso da libri di cui non resterà traccia alcuna nel giro di pochi mesi, e, per quanto possa sembrare assurdo, per quei cinque o sei mesi che rimangono in classifica, vendono e vendono forte. 

Da bambino, collezionavo vecchi libri usati che rubavo dai banchi del mercato di Resina, anche in lingue straniere, e mi divertivo a riscriverne il finale. Da adolescente, scrivere racconti e poesie è diventato un ottimo mezzo per rimorchiare e non gli attribuivo la stessa importanza che gli attribuisco adesso. È stato intorno ai ventidue, ventitré anni, dopo l’università, che ho iniziato a vivere in maniera sempre più appassionata la mia attività letteraria, con un’abnegazione ai limiti dell’ossessione.

Oggi per me scrivere storie è molto più faticoso di avere un solo mestiere, ho orari giornalieri (anzi, notturni) che variano dalle otto alle tredici ore, e scadenze che mi impongo per non rimanere indietro con la stesura dei romanzi (Un perfetto idiota è il decimo); vivo costantemente nel dubbio di fare qualcosa di buono, addirittura doveroso, o di sprecare soltanto il tempo.

A volte facciamo qualcosa con passione, ma poi quando ci troviamo davanti a una scelta non abbiamo il coraggio di sacrificare il nostro benessere materiale… Quello che voglio dire – e può valere anche come consiglio per qualche autore o autrice giovane che sta iniziando questa attività con la modestia necessaria – è che la mia voglia di raccontare storie mi ha spinto a girare tanti paesi e lasciare tanti bei lavori, possibili carriere che sono invece diventate pura sperimentazione: in altre parole, tutto ciò che mi succede diventa narrazione.

Sono stato povero per gran parte della mia vita, e lo sarò ancora perché non riesco a parcheggiarmi da qualche parte e accontentarmi di una sola carriera, una sola casa, un solo gatto. Insomma, una sola vita non mi basta, ho bisogno di viverne tante e tutte diverse l’una dall’altra per rendere verosimili quelle che racconto. E il bello è che non me ne importa nulla, per me l’unica cosa che conta è avere qualcosa da mangiare nel frigorifero e la prossima storia nella testa.

Oltre ai romanzi, scrivo tanti racconti, che sono il risultato di un’esperienza ancora più intensa, come andare a letto con una persona che non conosci e della quale non hai neanche il tempo di sapere il nome; basta uno sguardo per andare a letto con un racconto, è un’avventura che non ti puoi rifiutare di accettare, non esistono scrittori puritani.

Scrivere è l’attività più solitaria del mondo, ed è anche la più infruttuosa, perché a meno che non vieni da una famiglia ricca è quasi un suicidio farlo come lo faccio io, rischiando la fame ogni mese, collezionando le insinuazioni dei familiari acquisiti, e anche di alcuni familiari più stretti, insomma, ci si chiederebbe perché allora lo si fa con tanto impegno e non si decida per esempio di scrivere qualcosa al parco la domenica mattina oppure a Ferragosto tanto per perdere un po’ di tempo.

Frank Iodice

L’impegno e la professionalità con cui cerco di portare avanti questa “infruttuosa” attività hanno dato i loro “frutti” e credo di essermi conquistato la stima di tante persone appassionate come me. Ho avuto la fortuna di pubblicare i miei articoli e le mie storie su giornali e riviste rinomate a cura di persone che a loro volta si sono meritate tutta la mia stima, come Giampiero Dalle Molle, direttore di Inchiostro, Fabio Corsaro, direttore di Informare, Laura Guglielmi, direttrice di Mentelocale, o Caterina Ceccuti, caporedattrice di Nuova Antologia, su cui Massimo Carlotto ha lanciato una rubrica 4 anni fa chiamata “Spazio Giovani” inaugurata proprio con il mio Anne et Anne. Collaboro con autori e giornalisti seri che non si fanno sfuggire neanche una virgola, come Alfredo Zucchi, di Crapula Club, Mauro Orrico di Face Magazine, Concetta Canfora di Blasting News; e blog come Libero Libro di Katia Ciarrocchi, Il Bandolo, Ornella Trotta, direttrice de I Fatti, Ebraismo & Dintorni, Libri senza carta, Art Côte d’Azur (in francese) e tanti altri.

Lo scrittore ed editore che ha pubblicato Un perfetto idiota, Gordiano Lupi (Il Foglio), è una delle persone di cui parlo, appassionate e corrette.

Ci siamo conosciuti tramite email, mandandoci quasi al diavolo, perché a volte il correttore automatico Grammarly, impostato sull’inglese, mi inverte le lettere a caso e avevo scritto “Giordano” anziché “Gordiano”. Gli avevo espresso la mia stima per il lavoro eccellente che sta portando avanti per la comunità di lettori italiani e per la lotta contro l’editoria a pagamento, e lui mi ha liquidato in due parole perché se non sapevo neanche il suo nome non poteva essere vero tutto quello che veniva dopo.

Un suo rifiuto mi ha ferito più di tutti quelli cui un autore dopo anni si abitua senza farci neanche caso. Allora gli ho scritto una pagina di getto, sfogando tutta la mia frustrazione per la situazione culturale disastrosa; gli ho scritto che mi dispiace che il mio paese si sia ridotto a classificare gli autori in base alle veline o ai tronisti* che si sono portati a letto o ai programmi televisivi a cui hanno partecipato, e nessuno si degni di aprire un libro e cercare di capire se esiste ancora qualcuno capace di attingere a quel mondo interiore sul quale si è fondato questo genere letterario, soprattutto in Europa e Sud America.

Insomma, una bella mitragliata su un paese che io voglio cercare di migliorare anche se solo attraverso la mia penna e che mi rifiuto di abbandonare e accettare così com’è soltanto perché non ci vivo da quindici anni. Gli ho confessato anche che ho dovuto lasciare l’Italia per cercare lavoro ma vi sono ancora legato attraverso la lingua.

Non mi aspettavo che mi rispondesse, a meno che non si trattasse della persona modesta e intelligente che credevo di aver incontrato. E infatti mi ha scritto, ci siamo sentiti, e ha fatto valutare il mio romanzo a uno dei suoi collaboratori. È stato l’inizio di una bella amicizia, fondata sull’amore per i libri e sulla voglia di diffonderlo.

*Chi sono io per decidere cos’è bello e cosa no, se alcuni definiscono letteratura qualsiasi testo scritto e prodotto in un paese? Per essere più precisi, definirei belli tutti i libri in cui almeno non si parla di veline e di tronisti.

In Italia due anni fa ho tenuto una serie di incontri in molte scuole e luoghi di cultura per sensibilizzare i giovani all’amore per la lettura e ho distribuito in totale 10000 copie del mio “Breve dialogo sulla felicità con il presidente povero Pepe Mujica”, scritto quando ero in Uruguay. Sia le stampe, sia le trasferte sono state a spese mie, ecco cosa intendo per “essere utile socialmente”.

Molti ragazzi e ragazze che ho incontrato mi scrivono ancora e mi raccontano quello che fanno, oppure mi chiedono consigli su quali indirizzi scegliere, consigli ai quali cerco di rispondere nella maniera più onesta possibile per spiegare loro che si può essere persone migliori e si inizia proprio dal quotidiano, ma non bisogna dimenticare che a fare come me, ovvero a seguire a occhi chiusi ciò che ti rende felice, si può anche finire col muso contro il muro.

Scrivo anche molti articoli sul mio blog, che metto al servizio della comunità. Da un annetto vivo a Tallahassee, una cittadina universitaria nel nord della Florida, la capitale (No, la capitale della Florida non è Miami) e quando ho qualcosa da dire su quello che succede qui (come in occasione della marcia del 4 febbraio contro il Muslim Ban) lo faccio.
Il Breve dialogo si può scaricare gratuitamente dal mio blog, in italiano, inglese e spagnolo.

La Letteratura, quella che è arrivata a noi e che resterà nei secoli dei secoli, conta tanti nomi: Ernest Hemingway, Jack Kerouac, Jack London, Hermann Melville, Joseph Conrad, Julio Cortázar, Jorge Luis Borges, Boris Vian, Emilio Salgari, Carlo Emilio Gadda, Dino Buzzati, Sebastiano Vassalli, etc. etc. Ma in vita pochi hanno visto riconosciuto il proprio lavoro: Salgari, ad esempio, nonostante abbia scritto fino allo sfinimento inventando storie magnifiche, schiacciato dai debiti è stato costretto a togliersi la vita.
Oggi nessuno mette in dubbio l’immenso valore letterario di tanti e tanti autori; e però, quand’erano in vita, sono stati guardati con sospetto, hanno fatto la fame, e molti sono finiti davvero male. Frank Iodice: quali autori contemporanei e classici hanno influenzato la tua scrittura, per quali motivi?

Grazie ai romanzi che leggevo da bambino, Salgari, Jack London, Hemingway, Kerouac, anche Joseph Conrad, mi è successo qualcosa che ci succede quando ci appassioniamo alla lettura, e che ho descritto anche in Un perfetto idiota: mi sono sentito compreso.

Jean Claude Izzo, di origini partenopee, come me, mi ha insegnato ad amare e rispettare la città in cui vivo, anche più di quella in cui sono nato. Cechov mi ha insegnato a essere preciso e a non sprecare “i fucili”; Kundera, a rispettare il mio lavoro a costo di essere accusato di auto plagio!; e alcune altre autrici mi hanno insegnato l’arte della schiettezza, come ho confessato qualche giorno fa alla bravissima Chiara Gamberale. Dopo averla ascoltata a Ventimiglia, nel 2013 mi sembra, durante una presentazione organizzata nella Libreria Casella (vivevo a Nizza e portavo avanti gran parte della mia attività culturale appena al di là del confine) mi sono “letterariamente” innamorato di lei.

La letteratura sudamericana infine mi ha convinto che dietro un bel libro, anche un libro divertente, c’è sofferenza, vita vera (molto diverso l’approccio statunitense, qui sono convinti di creare un buon romanzo usando degli algoritmi e seguendo schemi precisi di cui dovremmo discutere in una sede a parte, forse con l’aiuto di un buon analista).
Ho amato il genio di Borges, ma anche il suo rivale, Roberto Arlt; Mutis, Cortázar, Onetti, Benedetti, Vilariño, Bolaño (che per scrivere faceva il custode notturno, come me), e tanti altri, come Isabel Allende o Carolina De Robertis, La bambina nata due volte è il mio preferito.

Mia madre è nata in Venezuela, figlia di emigranti che hanno dato inizio a una tradizione di “nomadismo” nella mia famiglia; è stata lei a insegnarmi lo spagnolo sin da quando avevo due o tre anni. Ciò mi ha permesso di leggere questi autori e autrici in lingua originale.

Un perfetto idiota è un romanzo che mena una spallata contro quella che è la politica dell’odio, ma è anche una dichiarazione di umiltà! E forse è anche un romanzo socialmente impegnato. Intorno al protagonista di Un perfetto idiota ruotano tante storie e tutte sono egualmente importanti.  Qual è stata la genesi di Un perfetto idiota? Perché tu, Frank Iodice, hai voluto mettere nero su bianco una storia che fa sua la poetica di Jean Claude Izzo e quella più articolata di Julio Cortázar?

Si scrive un romanzo perché si ha qualcosa di importante o urgente da dire. Per me, Un perfetto idiota è una dichiarazione di umiltà: umiltà nei confronti di questo lavoro, nei confronti di me stesso come autore e soprattutto come cittadino. Spero infatti che leggere la storia di questo custode senza un nome, che non si prende mai sul serio, aiuti ogni buon cittadino a mettere da parte il proprio ego e iniziare a porsi le domande giuste per reagire a quella che io definirei l’attuale “politica dell’odio”.

La letteratura è sempre stata un vettore per capire le dinamiche del mondo in cui viviamo e imparare ad articolare le proprie opinioni in maniera chiara e empatica. È per questo che amo leggere ed è per questo che ho deciso di scrivere questo libro. Come ha detto il mio amico e collaboratore Antonio Maddamma, questo libro è, come tutti i libri, “un atto d’amore”.

Ho scritto Un perfetto idiota prima di partire per gli Stati Uniti, vivevo ancora in Francia, lavoravo in una casa di affidamento per minori vicino Marsiglia, nell’estate del 2015. La stesura della prima bozza è durata qualche mese di lavoro intenso e frenetico, tranne sotto la doccia, non mi sono mai fermato, neanche mentre dormivo, perché non dormivo, avevo bisogno di raccontare quello che mi stava succedendo, un’esperienza assurda: ero diventato all’improvviso una specie di papà di quindici bambini senza genitori, affidati a me dalle otto di sera alle otto di mattina.
Stavo lavorando come custode notturno vicino Marsiglia, e per caso una sera il mio capo invece di mandarmi nel solito albergo in cui me ne stavo a scrivere le mie storie indisturbato, ha deciso di mettermi in una casa di affidamento in periferia.
Era una struttura enorme, divisa in più settori, un posto isolato in cui una volta si tenevano le sedute spiritiche. C’erano ancora le statuette massoniche sparse dappertutto, alcune senza testa. Senza alcuna formazione mi sono stati affidati quindici bambini tra i 4 e i 10 anni.
I due educatori che smontavano dal turno pomeridiano mi hanno indicato l’armadietto dei medicinali, la cucina, la sala comune e mi hanno detto “Te la caverai, hai fatto un sacco di lavori,” prima di chiudersi dietro la porta con un chiavistello. Il mio compito era quello di controllare che nessun bambino scappasse durante la notte, a quanto sembrava, ma appena il primo è apparso in corridoio con le lacrime agli occhi perché gli mancava la mamma, ho capito che non era esattamente così facile come mi avevano spiegato…
Dopo quel periodo trascorso nella villa dell’Escarène, comunque, ho incontrato altre persone incredibili, don Vito Palladino; Cedril Morel, l’affascinante truffatore parigino; Ciepiela, il falsario polacco, tutti avevano un posto già assegnato nella mia storia, che così è diventata un romanzo.

Per alcuni romanzi c’è bisogno di documentarsi un sacco, ad esempio per scrivere Acropolis mi sono andato a studiare tutte le procedure di patologia clinica; per Le api di ghiaccio invece ho studiato l’Alzheimer e i comportamenti di chi ne è affetto; oppure le tecniche di pittura per scrivere Anne et Anne il cui protagonista e un artista parigino; e così via. Ogni libro analizza un mondo preciso e serve anche a insegnare qualcosa. Non è corretto dare informazioni sbagliate o inventate a chi si prende la briga di comprare e addirittura leggere il tuo romanzo.
In questo caso, per descrivere la truffa di Morel e Ciepiela ai danni della Bce, alla quale prende parte anche la giovane Meli Montreux, ho dovuto imparare come fabbricare soldi falsi. Un’attività che potrebbe tornarmi utile un giorno o l’altro!

Un perfetto idiota è ambientato nella caotica e abbagliante Marsiglia. Racconti di un uomo che un nome non ce l’ha, eppure ha alle spalle, e non solo, un passato ben robusto. Vive la vita che lo regge in piedi giorno dopo, si occupa di un gruppo di minori, e… Lascio a te la parola, Frank, affinché possa tu spiegare ai lettori l’importanza di non avercelo un nome. 

Credo che in questo preciso momento storico, a causa delle cattive amministrazioni politiche e dei loro enormi interessi intrecciati con le grandi compagnie come Google o Apple, ci siamo fatti convincere che è impossibile vivere senza tecnologia, come quando ci è stato insegnato che la Coca-Cola era la migliore bevanda al mondo nonostante ogni paese avesse la sua bevanda tradizionale. Non solo, sempre per colpa della “dittatura tecnologica” soffriamo anche di una strana “malattia dell’ego” e passiamo il tempo a guardarci allo specchio e scattarci foto da soli.
La storia di un uomo che non ha neanche un nome e mette sé stesso alla fine di ogni ragionamento, forse, può insegnarci a concentrarci meno su noi stessi e farci riscoprire la nostra vera bellezza apprezzando prima quella degli altri.
Il comportamento del custode è al limite della sottomissione morale; se ne frega di sé stesso al punto di rinunciare alla propria felicità, ma allo stesso tempo, tra tutti i personaggi di questa storia, lui sembra l’unico ad avere qualcosa da raccontare. Quanto è importante il giudizio altrui e fino a che punto vale la pena fregarsene?

Mi sono divertito molto mentre scrivevo questo romanzo. Per esempio, mi viene in mente il Cours Julien, a Marsiglia, dove ho trascorso diversi pomeriggi a scrivere la parte finale.
Me ne stavo seduto a un banchetto di scuola preso dalla terrazza di uno dei caffè (in quella zona molti caffè e bistrot riciclano mobili raccattati di qua e di là) e uno dei tanti perdigiorno che frequentano la zona si è seduto vicino a me e ha iniziato a leggere. “Non si capisce niente” mi ha detto. “Grazie! Sto scrivendo in italiano” gli ho risposto. Ma invece di lasciar perdere, forse perché non aveva niente di meglio da fare, il tizio ha deciso di impegnarsi per capire cosa c’era scritto. Dopo un po’ si sono avvicinate altre persone, senzatetto, alcolizzati, due prostitute che aspettavano l’autobus all’angolo, e si è creato un piccolo gruppetto di “intellettuali della strada”; ognuno esprimeva le sue teorie sullo stile e sulle poche immagini che riuscivano a ricreare grazie alle parole simili al francese, sole, barbiere, fotografo, prìncipi sauditi… Io ho offerto pastis a tutti e sono passato al francese raccontando a voce di cosa parlava il romanzo, era il minimo che potessi fare. Quel pomeriggio mi sono divertito da morire.

Ma non è stato solo un gioco. Ci ho messo due anni ad arrivare alla versione definitiva, e in questi due anni ho dovuto superare anche degli ostacoli “tecnici”.Avevo molta paura ad esempio di raccontare la verità su don Vito Palladino, personaggio ispirato a un parroco di Padova che ho incontrato mentre ero nella biblioteca universitaria di via Cesare Battisti per delle ricerche su dei Piani quinquennali di istupidimento (dei quali vi racconto un’altra volta). La figura di don Vito è “poco canonica” e potrebbe urtare la sensibilità di chi è molto religioso.
Anche nelle faccende religiose, però, ci vorrebbe più auto ironia. Se imparassimo a prenderci meno sul serio, tutto, incluso le religioni, diventerebbe un mezzo per diventare persone migliori. Insomma, se io fossi un lettore credente, non me la prenderei per le bestemmie di don Vito, mi soffermerei piuttosto sul messaggio di amore che passa attraverso la sua vicenda e dimostra che le religioni in fondo esistono per unire i popoli, non per dividerli.

Oggi più di ieri i romanzi vengono inseriti, per ragioni commerciali, in un genere piuttosto che in un altro. Per me, e forse per pochi altri, i generi sono delle prigioni e basta. A ogni modo, la domanda, Frank Iodice, te la devo porre, non fosse altro che per dare delle indicazioni di massima ai lettori: Un perfetto idiota è un thriller, una storia di formazione, un iperromanzo sulla falsariga indicata da Italo Calvino?
E: il tuo stile letterario è vicino a quello di qualche autore in particolare, oppure no? 

Alla domanda “In quale genere letterario collocheresti la tua opera,” in genere rispondo: In quale categoria di bambini collocheresti tuo figlio o tua figlia? Forse è un romanzo umoristico, non saprei, queste sono domande da fare ai critici, sono loro ad aver inventato i generi letterari, classificando e dividendo in categorie.
Mi succede lo stesso quando qualche amico mi chiede com’è il mio stile, “a chi somiglio”, non so cosa rispondere. A me piacerebbe tanto somigliare a uno di quei quattro autori vissuti più di duemila anni fa, prima che iniziasse la lotta tra israeliani e palestinesi, quei quattro tanto amati, che hanno scritto insieme un libro venduto e tradotto in tutte le lingue, il primo best seller al mondo. In ogni albergo in cui vado, ne trovo una copia nel cassetto del comodino!

Quali temi tocchi in Un perfetto idiota? 

Il peso del giudizio nelle società dell’odio e della competizione
Il rapporto con il proprio ego
L’affidamento di minori a famiglie adottive
Una truffa ai danni della Bce

Frank Iodice, perché il tuo romanzo ha il titolo che ha, ovvero Un perfetto idiota? Un titolo così è di impronta dostoevskijana; nel lettore esperto non può non richiamare alla mente un uomo assolutamente buono o del tutto privo di autostima.

Questo libro s’intitolava Il custode delle parole, perché il narratore è un custode e perché gli piace analizzare ogni parola e l’uso (sbagliato) che ne facciamo. Poi ho deciso di cambiarlo, innanzitutto perché l’articolo “il” dà più importanza a una persona rispetto all’indeterminativo “un”.
Il messaggio di questo narratore, infatti, è l’assoluta mancanza di autostima, una modestia ai limiti della schiavitù morale nei confronti del sistema, di sua moglie, delle vicende stesse che gli scivolano addosso mentre lui si concentra su stupidaggini, su osservazioni emotive per le quali non c’è più posto oggi, nelle società frenetiche in cui viviamo.
Inoltre, anche se il titolo descrive lui, il custode è soltanto il narratore, non pretende alcuna “promozione” al ruolo di protagonista, benché racconti una storia accaduta proprio a lui. La protagonista è Meli Montreux, sarà lei a risolvere (quasi tutti) i loro conflitti.

Un perfetto idiota, poco ma sicuro, non è un romanzo autobiografico; tuttavia penso che dentro ci sia anche un po’ di te, Frank Iodice. In quale misura? Credo infatti che oggi, vuoi per il tempo storico in cui siamo immersi, vuoi perché il modo di raccontare è cambiato rispetto ai tempi di Omero, di Petronio Arbitrio, di Miguel de Cervantes e così via, sia impossibile per chiunque (o quasi) essere perfettamente omerico.  

Dietro le mie storie c’è sempre una storia: tutti i libri sono autobiografici, anche quelli con le istruzioni per montare i frigoriferi.Quindi dietro ogni personaggio ci dovrebbe essere una persona reale, anche se non è così semplice come sembra.
Ho tratto spunto per esempio dai ricordi di una anziana zia italiana, a cui sono molto affezionato, per dare un passato alla signorina Rosario Rossi. Quando si parla di fiction, c’è sempre da precisare che non esiste un personaggio che corrisponda a tutto tondo a una persona reale, ma si usano spesso caratteristiche fisiche di qualcuno, esperienze di qualcun altro, il linguaggio di un altro ancora, e così via. In altre parole, la zia dalla quale ho rubato i racconti di giovinezza non è affatto una prostituta argentina arrivata in Italia negli anni Sessanta!!!

“La signorina Rosario Rossi viveva a Ventimiglia, era un’argentina arrivata in Italia negli anni Sessanta, periodo in cui non si era mai vergognata di dire che faceva la prostituta. L’avevo conosciuta quando ero soltanto un ragazzino, era venuta a trovarmi spesso; non aveva potuto portarmi via con sé perché, diceva, non avrebbe avuto i mezzi per sostenere entrambi. Per una lunga epoca della mia vita, quegli anni in cui si odia tutto perché si cerca disperatamente di trovarci un senso, l’adolescenza, l’avevo odiata, mi ero convinto che l’unica cosa che amasse sostenere fosse il suo enorme seno, poi, a poco a poco, ci eravamo riavvicinati, come due vecchi amici che avevano bisogno l’uno dell’altra. Era una specie di madre adottiva. Sin da quando era ragazza, Rosario era stata una gran bevitrice di mate, appassionata inseguitrice di gatti per salvare loro e sé stessa da tragiche morti. Aveva almeno settant’anni, ed era l’unica donna di cui mi fidavo.”

Tutto quello che succede al narratore, tranne una vicenda in particolare, è successo a me in questi ultimi tre anni. Mentre scrivevo attingevo continuamente alla mia vita. Per cui, ero io ad essere finito in una casa di affidamento per badare a bambini e bambine senza genitori; ero io ad essere in crisi con la mia compagna dopo diversi anni di convivenza, ad aver incontrato una giovane educatrice per la quale ho perso la testa, o ad aver avuto l’infanzia che ha avuto lui, molestato dalle suore e fuggito in mondi immaginari riscoperti nei libri… Forse per questo non sono riuscito a dargli un nome.
Il bello di raccontare una storia è che se non metti a nudo te stesso, non puoi pretendere di mettere a nudo i tuoi personaggi.

In Un perfetto idiota incontriamo tre figure femminili profondamente diverse. Ma protagonisti sono anche i libri. A chi è destinato questo libro? 

Penso a un pubblico femminile perché si tratta della storia di tre donne, tre diverse generazioni. La protagonista, Meli Montreux, si riscatta del suo passato da “sbandata” grazie all’incontro con il narratore e con la piccola Odette, una bambina di sei anni nata con il dono della saggezza. La terza donna è la signorina Rosario Rossi, una vecchia prostituta argentina; anche lei sarà premiata e rincontrerà il suo primo fidanzato, nel frattempo diventato parroco.

E potrebbe interessare anche a lettori più giovani, ragazzi e ragazze che hanno voglia di sapere come i protagonisti hanno superato le difficoltà di un’adolescenza trascorsa senza genitori, sballottati di qua e di là nelle case d’affidamento. È un romanzo che potrebbe far appassionare i ragazzi alla lettura grazie all’amore che il narratore nutre per i libri stessi.
Un perfetto idiota è dedicato a Eleonora, la mia compagna di vita e di viaggio. Questo romanzo significa molto per me, è il decimo, è il frutto di tanti anni di lavoro serio e estenuante, meritava una dedica importante.

Per un romanzo qual è Un perfetto idiota, credo andrebbe bene una colonna sonora briosa, una musica allegra, diciamo pure imperfetta perché pensata e arrangiata sul momento. O no?

Una musica da banda da circo, che somiglia a sua volta a quella della banda di una processione di un piccolo paese. Quelle che cominciano con parapappappa… Rivelerebbe l’humor del romanzo, soprattutto nella parte centrale, e ribalterebbe la visione di una religione cattolica triste e sofferente. Sarebbe bello se a una processione tutti ridessero e ballassero, e lo dico da non credente, come critico esterno.

Sito ufficiale di Frank Iodice: https://frankiodice.it

Un perfetto idiotaFrank Iodice – Editore: Il Foglio letterario – Collana: Narrativa – Anno edizione: 2017 – Pagine: 210 – Isbn: 9788876066580 – Prezzo: 15 Euro


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