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Da “Donne e Parole” alcune poesie

Da “Donne e Parole” alcune poesie

Donne e Parole. Sulle orme di Leonard Cohen

Iannozzi Giuseppe

DARGYS E GORDIANO

per Gordiano e la sua Dargys:
siate sempre felici così

Povera Dargys, da sola in mezzo ai libri,
in una quasi buia caverna condannata!
Solo parole su parole da leggere,
da divorare
con occhi di smeraldo a lume di candela;
quanti autori,
quanti che muti raccontano delle loro vite,
di quelle che hanno immaginato di vivere
senza mai osare una paglia, un fuoco fatuo
o l’ingordigia d’un tagliacarte affilato,
ben affilato al fuoco della passione

Ma lo sa, ben lo sa Dargys che a tarda sera
– quando le stelle già alte in un cielo mutilo
a invadere l’immensità vuota di verità –
lei tornerà, con passo felpato, sì!, lei tornerà
da quell’Uomo nella Casa dell’Amore trincerato
E allora le canterà lui una canzone di rose,
una storia cubana che forse lei non sa
Come soltanto lui sa le canterà di Cuba,
di com’era, di come la passione domani sarà

COLPO DI FULMINE

in memoria di Cesare Pavese

Fu un colpo di fulmine, fu il tuo giovane piglio
ad accecarmi e ad abbandonarmi nella luce di te:
mi conquistasti come una cicatrice sulla pelle.
Mi lasciasti poi solo la tua improvvisa scomparsa.
Ed ero io tra le righe d’un libro, che avevo scritto,
mentre studiavo l’ultima mossa da fare in amore:
una morte annunciata nei sonniferi di Leucò.

Oh, non dire che non t’ho amata!
In sogno ho le colline e le strade di campagna,
il maggese e la chiesa abbandonata,
il cielo terso e le nuvole della tempesta;
tenevo la tua mano perché non mi abbandonassi
all’inutile incanto dell’intorno sognato
passo dopo passo, sguardo dopo sguardo.

Dalla tua luce fui segnato perché eri Constance
e non un’altra; e gli spruzzi delle tue efelidi
compagnia tenevano al mio cuore di sé stanco.
Ma perdono tutti e a tutti chiedo perdono
per questa solitudine troppo mia, troppo rossa,
perché potesse essere un po’ anche la tua.

Oh, non dire che non t’ho voluta!
Fu solo il buio totale, assoluto, dopo il fulmine,
il buio dei miei occhi accolti nella morte
a strapparmi al mito di te, giovane attrice!

C’ERO ANCH’IO A DIRMI ADDIO!

E’ solo un anno
che simile a tanti altri passa
E’ solo il tempo
che – l’hai capito? –
si fa più vecchio di quei buchi
che le suole delle scarpe minano
E’ solo il botto d’un petardo
fra il ragliare forte degli asini
E’ solo un bastone
fra le ruote mentre guardiamo noi
girare dei mulini a vento le pale
E’ solo il canto d’una sirena
che il suo mare cerca per svanire
E’ solo il popolo degli gnomi
che nell’ira delle stagioni si prende
E’ solo uno spazio vuoto
con un fil di voce raccontato
a chi il sonno non lo sa mai o quasi
cogliere in tempo
E’ solo un amore che a puttane
se ne va senza pagar la commissione
E’ solo l’abitudine che si consuma
come cera di candele a mordere
timida fiamma di fredda speranza
fra arie di nebbie
E’ solo calpestata fantasia
e un valzer viennese che cade
nella valanga dei ricordi dell’Ebreo Errante
E’ solo un tiratore scelto
che l’ultimo suo bacio l’ha seppellito
nella canna del fucile per stupido amor
di dire “C’ero anch’io a dirmi Addio!”

Sono le nostre gambe
che per il destino di Garibaldi tremano
E’ una Parigi di gambe rotte e corte,
come le bugie che abbiamo raccontato
allo specchio e al nostro migliore amico

Ma sono in tanti a farti la corte
Ma sono in tanti a divertirsi così
Ma sono in tanti a sognarti amore
Ma sono in tanti a farsi solitudine

Quando tu non vedi, quando tu non vedi
E lo sguardo lo butti in fondo alle tasche
per inseguire una chimera – o solo il cielo
che t’ha inventata bambina
per camminare al di là di noi e di tutti gli dèi
che vorrebbero prenderti prigioniera
del loro egoismo

Quando tu non vedi, quando tu non vedi

IL VENTO SU GIUDA

Così oggi non hai più alcun dubbio
Mi vedi appeso a quell’alberello
sbatacchiato dal vento di tanto in tanto
solo perché mi chiamavo Giuda

Sembro il ritratto d’una scimmia
con il collo tirato come quello d’un gallo
Il Maestro aveva promesso Inferno e Paradiso
Però io addosso sento la carezza del vento
e non è che sia poi tutta quella gran cosa
che volevamo noi far credere alla gente

La morte non ha sentimento
Ve l’assicuro io che ci sono in mezzo
Non un angelo, non un demone o un agnello
Si sta nell’assenza senza sentimento e basta
Questa l’essenza estrema, nera pace mortale
che neanche la puoi spiegare;
semplicemente non ne hai conoscenza
se non quando il nome che fu tuo
da chi ancora in vita viene proferito o profanato

Così oggi non hai più alcun dubbio
Che tu m’abbia amato o odiato
alla fine conta meno di niente
Resiste solo il nome che fu mio
in bocca a mille genti che fato uguale al mio
presto o tardi avranno, senza la speranza
di poter cambiare una sola virgola

Così oggi mi vedi, giusto una scimmia
Però io mi chiamavo Giuda e tra le scimmie
ancor oggi vengo chiamato in causa
più del Padre, più del Maestro così tanto buono
eppur di me assai meno menzionato

STORIA DEL DIAVOLO!

E’ presto corsa
la voce di bocca in bocca
sin giù in Paese, di casa in casa
Non c’è più niuno che non sappia
Dondolano le campane nei campanili
Di tetra eco inondano la valle accanto
riempiendola fino al limite
promettendo veloce inondazione
E tremano le montagne,
anche le più grosse e vecchie
come prese d’assalto da giganti spergiuri
figli d’un coito non previsto
fra angeli caduti e umani mortali

Lanciano le donne urla al cielo,
cadono poi in deliquio
con la fronte madida di freddo sudore
mentre cade la neve senza posa
Ne approfittano i maniaci sessuali
per uno spuntino,
gli assassini per far casino
Del vento la grifagna mano li aiuta:
veloce le gonne solleva
lasciando proprio nulla all’immaginazione

Dondolano le campane nei campanili
Tristi: cadaveri impiccati paiono,
costretti all’eterna agonia di battersi
or davanti or di dietro

Belzebù se la ride della grossa
Coccola Gesù Bambino tirando fuori
il suo migliore cachinno
E sulla pestata degli umani
lascia lievi caprine impronte
perché sia grande la confusione
sebbene poco o nulla originale

ANCH’IO SCRIVEVO POESIE

Quand’ero giovane scrivevo
sempre appeso a un filo,
inventando greve Fato per desio
di morte, insegnando all’alma
che all’Amore non è lecito
chiedere alcunché, mentre giusta
è l’attesa che la morte avvenga
in foggia né lieta né coraggiosa
Così trascorsi i giorni migliori
morendo a ogni tramonto
dentro fiumi d’inchiostro,
incontrando in sogno donne
che con volto cinereo mi segnavano
nel nome del Padre e del Figlio
Poi al mattino sveglio scoprivo
che l’età matura aveva colti i frutti,
sia i migliori sia quelli ancor acerbi
e che nulla m’era più rimasto
se non il calamaio vuoto di china
e un solo occhio, solitario e cieco

NOTTE

E allora perché non dormire
invece di questo morire
con un pozzo in gola?

Voi che scavate camposanti
riposate
ora che il gufo tace
e il corvo è la notte

SOGNI AL MATTINO

Niente hanno di umano
quei sogni che al mattino
ci svegliano
con le loro gelide dita
sulla fronte calda

Quanto più naturale
sarebbe aprire gli occhi
e incontrare una puttana
invece della solita Morte
truccata da scimmia

IO TI AMO

Il Gesù di quaggiù ha su un sorriso a lutto
Non c’è pace fra gli ulivi, e aspetta Giuda
Ma chi fra i due sia il più spaventato,
per la cronaca, davvero non saprei dire

Sì fredda della morte la mano! Non il Padre
né altro dio la può arrestare per un giorno
o anche solo per un momento, quello esatto
di sussurrare a fior di labbra, “Sì, io ti amo”

PERSONE SOLE

Persone sole, più sole
d’una condanna a morte,
e altre ancora
che nella confusione
dei giorni passati
dimenticarono
il nome e la faccia
dentro allo specchio
infranto
gridando innocenza
nonostante il Torto
dal teschio gl’occhi
gliel’avesse cavati

Ho conosciute persone così,
non le ho capite bene mai

IN MANICOMIO

Forse non te ne sei accorto
ma dio l’hanno cacciato in manicomio
insieme agli spettri di Freud e Nietzsche
Adesso chiacchiera da mane a sera con loro
Passa poi l’infermiere e gli dà la sua pillola:
dio la inghiotte senza batter ciglio
e s’addormenta quasi sereno, quasi felice
Sembra un bambino innocente
incapace d’ogni male

Ha fatto una gran brutta fine dio:
così dicono, c’è però chi sostiene il contrario
C’è chi si fa predicatore per le strade
dicendo che dio ha trovato casa

E noi che invano ci ostiniamo a invocarlo
non potremo mai aspirare a un posto
che sia tutto nostro (tutto nostro)
E né c’è segnato nell’umano destino
che domani ci ameremo come fratelli
Faremo quello che già abbiamo fatto
Ci scanneremo sotto la Croce, sul Golgota
e contro il cielo scaglieremo cachinni
peggio assai di quelli delle scimmie

Ha trovato la sua dimensione dio
E l’uomo da sempre arreso alla bestialità,
a quella natura che gli calza a pennello
S’è fatto l’uomo dio di sé stesso
e guerra muove a chiunque gli stia sul cazzo

NEI CIMITERI DI GIORNO

Nei cimiteri di giorno
ci stanno tante persone
Fanno lavori,
ne fanno tanti
socialmente utili

Nei giorni di sole
ci stanno certe persone
che raccolgono foglie
prima verdi poi rosse,
marcite come ciliegie
fuori stagione
In giorni così
tanti piedi strisciano,
alzano una manciata appena
di terra di polvere d’amore
– di niente

Nei cimiteri di giorno
ci vanno tante persone
Nascondono le lacrime
dietro occhiali da sole

Nei cimiteri di giorno
ci vivono tante persone
che han niente di niente
Quanto, quanto eros
mai dimenticato
e sotto i piedi calpestato!

Quanto, quanto eros
mai perdonato
nelle orme lasciate
sulla marcita

Leggi qui la recensione di Marco Zunino

DONNE E PAROLE. SULLE ORME DI LEONARD COHENIannozzi GiuseppeIl Foglio letterario – Collana: Autori Poesia Contemporanea – Edizione a tiratura limitata: novembre 2016 – Pagine: 604 – ISBN 9788876066450 – prezzo: 18 Euro

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http://www.ilfoglioletterario.it/Catalogo_Poesia_Donne_e_parole.htm


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