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Il Sustainability Manager, nuova figura professionale

A partire dal 2018 l’Italia recepisce una Direttiva UE datata 2014 e riguardante le grandi aziende ma anche tutti gli enti di interesse pubblico rilevanti e le società quotate in Borsa. Oggetto di tale Direttiva è la redazione annuale di una Dichiarazione di carattere non finanziario che va sotto il nome di Bilancio Sociale o Bilancio Integrato di Sostenibilità, un documento che esprime in termini qualitativi quale impatto ha un’azienda sul territorio circostante e sull’ambiente in senso più ampio, ma anche quali politiche mette in atto in favore del benessere dei propri dipendenti e quale impegno spende nel sociale o per il rispetto dei diritti umani.

Un documento estremamente composito quindi, e che oltre ad essere diventato obbligatorio deve essere approvato e sottoscritto dal consiglio di amministrazione: non ci sono più scappatoie o deroghe, e non è possibile fare “green-washing”, ossia edulcorare i dati, perché il bilancio così redatto è integrato da certificazioni rilasciate da enti accreditati.

Chi redige la nuova dichiarazione di carattere finanziario?

A monte di questa Dichiarazione è stato necessario creare una nuova figura in seno alle aziende, il CSR (Corporate Social Responsability manager), un professionista che opera in maniera trasversale all’interno come all’esterno dell’azienda, raccogliendo dati e rivolgendosi a società di consulenza aziendale per il rilascio dei certificati necessari.

Tali società sono enti ben specifici e competenti in materia di sicurezza sul lavoro, certificazioni e indagini ambientali, e che effettuano prove di laboratorio quali i controlli non distruttivi.
Il CSR stipula con esse tutti i necessari accordi per la supervisione degli aspetti sui quali è indispensabile garantire imparzialità, mentre all’interno delle mura aziendali opera per migliorare la qualità della vita sul lavoro, per ascoltare ed accogliere le istanze dei colleghi o dei dipendenti, e per favorire ed assecondare il loro benessere psicofisico anche incentivando lo svago o la crescita culturale al di fuori dell’ambiente lavorativo oppure mettendo in atto politiche di welfare aziendale che, per fare solo un esempio su un tema molto sentito, aiutino ad individuare campus estivi per i figli o favoriscano la presenza più costante del genitore in famiglia.

Quali studi servono per essere Corporate Social Responsability manager?

Non si diventa CSR dall’oggi al domani e non ci si inventa in questo ruolo. Sono necessarie conoscenze che abbracciano diversi ambiti, dall’economia aziendale al diritto del lavoro passando per la sociologia e le politiche ambientali. I maggiori istituti universitari italiani si sono già attrezzati per formare simili figure professionali con corsi di specializzazione e master allestiti ad hoc: del resto, l’obbligatorietà della Dichiarazione ha reso questa figura sempre più ricercata da medie e grandi aziende, il che ha favorito l’ascesa di questo sbocco lavorativo.

Quali sono i benefici di questa Dichiarazione?

Le aziende che devono produrre la Dichiarazione di carattere non finanziario hanno intuito che, sebbene sia vincolante ed oneroso, tale documento può comportare dei grossi benefici.
I consumatori infatti sono sempre più attenti su dove e come orientano le proprie scelte, ed è innegabile che un’azienda che si dimostri responsabile e trasparente guadagni moltissimo in termini di immagine e di popolarità, diventando una scelta preferibile.
Un modello di produzione sostenibile è visto come virtuoso, e se un’azienda lancia sul mercato segnali di correttezza e rispetto dell’ambiente e delle tematiche sociali acquista punti agli occhi dello stesso. Inoltre, un’azienda “sana” ed eticamente responsabile diviene anche più appetibile per gli investitori, sempre attenti ad evitare i fattori di rischio e quindi più propensi ad indirizzare i capitali verso realtà trasparenti ed affidabili.

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