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Terra preta, la terra nera dell’Amazzonia

Da qualche anno i ricercatori che si dedicano allo studio degli ecosistemi amazzonici sono giunti alla conclusione che buona parte della foresta pluviale non è affatto immacolata, ma ha subito alterazioni rilevanti operate dall’essere umano allo scopo di rendere più vivibile un ambiente così estremo.

Gli alberi che popolano la giungla sudamericana mostrano una distribuzione per nulla casuale, non semplicemente spinta da normali processi ecologici: nella grande frequenza di alberi di noci, ad esempio, si celerebbe un intervento umano vecchio di secoli, la cui portata è ancora difficile da quantificare.

Sono sempre più gli indizi che ci suggeriscono un passato molto differente per la foresta amazzonica che possiamo osservare oggi. I primi esploratori europei descrissero un ecosistema ricco di comunità umane, anche di grandi dimensioni, ma ad oggi rimane poco o nulla di questi antichi insediamenti se non un elemento dalle proprietà quasi “magiche”, ma fondamentale per la costruzione di comunità sedentarie e popolose: la terra preta.

“Metropoli” amazzoniche e il problema del cibo

La teoria che la moderna foresta amazzonica sia il risultato dell’azione di processi naturali e intervento umano é supportata da alcuni resoconti redatti dai primi esploratori europei, primo tra tutti Francisco de Orellana.

L’esploratore spagnolo, durante la sua spedizione che lo portò a percorrere tutta la lunghezza del Rio delle Amazzoni (inizialmente battezzato come “Rio de Orellana”), si rese conto che le rive del fiume erano sede di numerose comunità di nativi.

Per diverso tempo il resoconto di Orellana fu ritenuto intriso di esagerazioni, giudicando impossibile la presenza di grandi insediamenti umani nel cuore della foresta pluviale. Dopotutto, per quanto denso di specie vegetali e ricco di biodiversità, il terreno del bacino amazzonico non è noto per la sua fertilità; per vivere e prosperare, un insediamento ha bisogno di enormi quantità di cibo, non ottenibile dalla sola caccia o dalle attività di raccolta.

Oggi, invece, siamo sempre più portati a pensare che Orellana non stesse mentendo. Secondo le stime moderne, all’inizio del 1500 l’Amazzonia era popolata da circa 5 milioni di nativi suddivisi tra insediamenti costieri e fluviali, una vasta popolazione che subì un drastico calo numerico a seguito dei primi contatti con le malattie importate dagli Europei.

Abbiamo diversi indizi che suggeriscono una massiccia presenza umana in Amazzonia intorno al XVI secolo: geoglifi, grandi quantità di scarti legati alla presenza umana e un terreno di natura particolare, introvabile in altre regioni amazzoniche e sicuramente creato dall’essere umano.

La terra nera degli indios

Ciò che viene definita “terra preta” (“terra nera”) è un tipo di terreno ben distinguibile dalla “terra mulata“, un suolo amazzonico di colore chiaro, o dalla “terra comum” (“terra comune”), terreno non fertile che ricopre buona parte del bacino amazzonico.

La terra preta copre una superficie pari allo 0,1% – 0,3% dell’ Amazzonia (da 6.000 a 19.000 km quadrati), ma alcune stime hanno elevato la percentuale al 10%, l’equivalente del doppio della superficie della Gran Bretagna. La terra preta si trova generalmente raggruppata in piccoli appezzamenti di circa 20 ettari d’estensione, ma ci sono aree in cui copre una superficie di quasi 400 ettari.

Cos’ha di speciale la terra preta? Come citato precedentemente, il suolo amazzonico non è noto per la sua elevata fertilità. Rispetto a località del pianeta in cui una qualunque coltura può attecchire con facilità e produrre grandi quantitativi di prodotto, in Amazzonia è difficile ottenere i raccolti abbondanti necessari a sostenere una comunità di decine di migliaia di persone.

Tra il 450 a.C. e il 950 d.C., i nativi iniziarono a produrre un tipo di terreno più fertile della terra mulata o della terra comum allo scopo di rendere più produttive le loro colture. Questo tipo di terreno, in realtà nato ben prima della sua produzione attiva da parte dell’essere umano grazie alla mescolanza di rifiuti organici con ceneri e terreno, funge ancora oggi da substrato per colture come la papaya e il mango.

Differenza tra terra preta e terra comum

Dopo essersi resi conto che gli scarti prodotti dalle attività quotidiane, come la preparazione del cibo, il mantenimento del focolare o la creazione di ceramica, rendevano la terra mulata più fertile, iniziarono a fertilizzare volontariamente il terreno più fertile a loro disposizione.

La terra preta ha un contenuto di carbonio molto alto, pari a circa 150 grammi per kg (contro i 20-30 grammi del suolo circostante), ma rispetto ad altri tipi di terreno ad elevato contenuto di carbonio presenta alcune differenze. In primo luogo, la terra preta incorpora elementi e nutrienti di natura organica provenienti dagli scarti alimentari di una popolazione umana; questi elementi favoriscono la proliferazione batterica, incrementando la fertilità.

Secondariamente, il contenuto di carbonio è così elevato da risultare fino a 70 volte superiore a quello di suoli ferralitici, tipici delle zone tropicali del pianeta e spesso presenti in prossimità di depositi di terra preta.

La terra preta, infine, è propensa ad accumulare e trattenere i nutrienti con cui viene a contatto, ed è molto resistente alla degradazione da parte dell’attività microbica. Tra i nutrienti più diffusi sono il potassio, il fosforo, il calcio, lo zinco e il manganese, un mix che ha dimostrato di poter incrementare la produzione di riso dal 30-40% senza l’utilizzo di fertilizzanti.

Come si produceva la terra preta?

Per produrre la terra preta, le popolazioni indigene aggiungevano alla terra mulata braci di legna o altro materiale organico che bruciavano a bassa temperatura.

La produzione di carbone a bassa temperatura consente l’estrazione di condensati del petrolio che fungono da alimento per i batteri del terreno. L’ossidazione lenta del carbone non solo fornisce terreno fertile per i microrganismi, ma mantiene intatte le caratteristiche del materiale vegetale carbonizzato anche per migliaia di anni.

Il carbone è quindi fondamentale per il mantenimento della terra preta: oggi la maggior parte dei terreni agricoli ha perso in media il 50% del suo originale contenuto di carbonio a causa della coltivazione intensiva e dei danni causati dall’attività umana.

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L’uso di carbone prodotto da materia vegetale estratta da legname e piante con foglie (al contrario della carbonizzazione dell’erba) favorisce anche la diffusione di alcuni funghi che sembrano rappresentare la chiave della fertilità della terra preta e della sua capacità di “contaminare” positivamente il terreno che la circonda.

Le analisi della terra preta amazzonica hanno inoltre evidenziato la presenza di escrementi animali e umani, resti di lavorazioni alimentari come ossa animali, conchiglie e gusci di tartaruga, oltre a compost prodotto da piante terrestri e acquatiche.

Terra preta da Indio
Terra preta
ScienceDirect: Terra Preta



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