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Trionfale Simon Boccanegra alla Scala

Trionfale Simon Boccanegra Alla Scala
Fermata Spettacolo

Trionfo del maestro Myung-WunChung per il ritorno del Simon Boccanegra al Teatro alla Scala di Milano.

Opera dalla storia travagliata e dal successo altalenante, Simon Boccanegra è oggi tra i titoli più rappresentati di Giuseppe Verdi e che al Piermarini compare stabilmente in cartellone ormai da diversi anni.

La versione messa in scena è quella del 1881,rifacimento in collaborazione con Arrigo Boito e Giulio Ricordi di quella del 1857, che Verdi aveva composto su libretto di Francesco Maria Piave con alcuni versi di Giuseppe Montanelli. Il soggetto è tratto dalle vicende storiche del primo “duxe”, doge, genovese, secondo la drammatizzazione di García Gutiérrez, autore che a Verdi ispirò anche il Trovatore.

Notevole nell’impianto dell’opera è la rottura definitiva dell’unità aristotelica temporale. Il prologo è ambientato un quarto di secolo prima del primo atto, come un vero e proprio antefatto, e nello scorrere dell’azione dei tre atti il tempo si dilata grazie a passaggi ellittici tra una scena e l’altra. Un poco leziosi i riferimenti all’unità della patria, tema caro al romanticismo musicale italiano, che cavalcano il sentimento risorgimentale senza profonda convinzione. Del resto, già al tempo della prima composizione, l’Italia era pressoché già stata fatta e gravi nodi sociali e politici già venivano al pettine rispetto ai sogni di pacificazione interclassista che poteva nutrire un compositore d’opera.

La storia è imperniata su un intreccio di incomprensioni, segreti e antiche rivalità familiari, oltre all’amore tra Amelia Grimaldi, in realtà Maria Boccanegra, e Gabriele Adorno.

La regia di Federico Tiezzi premia un’interpretazione intimistica e personale dell’opera, a discapito delle vicissitudini politiche. Gli odi tra le fazioni sono un vero e proprio sfondo cromatico, rossi i patrizi e blu i plebei, della parabola psicologica di un Simone sempre solo.

Le scene sono pulitissime e quasi sempre nella penombra, con cenni di architetture geometriche in controluce disordinate e irregolari. Unici elementi di ambientazione storica sono i seggi dorati dell’Assemblea, sui cui scranni siedono i rappresentanti del popolo e della nobiltà, una grande sfera armillare che campeggia, calata dall’alto, sulla stanza del Doge, e il grande trono ducale, sul quale si accascia il Boccanegra morente. Armigeri, marinai, popolo e patrizi compongono sempre coreografie simmetriche e dinamiche, con pose e gesti minuziosamente ricreati a formare effetti fotografici che immobilizzano alcuni attimi salienti.

Nel finale il popolo genovese compare in abiti ottocenteschi e un grande specchio cala dall’alto rivolto alla sala, come volendo rinnovare su due livelli la morale dell’opera, dapprima nei confronti dei contemporanei di Verdi e poi nei confronti degli spettatori odierni.

Una regia interessante e seducente, sebbene con alcuni elementi discutibili (come il finto laghetto nel cortile del palazzo Grimaldi o la tovaglia ricamata della stanza del Doge), che mostra oggigiorno una certa vecchiezza, testimoniata del resto da alcuni elementi di scena ormai consunti. Se la continua penombra e i cromatismi possono ancora dire molto, risultano ormai poco accattivanti le finte architetture geometriche che non comunicano con lo sfarzo dorato degli scranni politici e, soprattutto, non stupisce più il grande specchio del finale, espediente che ha fatto il suo tempo.

Gli applausi sono stati tutti per il maestro Myung-Whung Chung che ha diretto a memoria, nel suo consueto stile preciso, puntuale, metodico, misurato. Appassionato e appassionante, con una cura attenta delle linee melodiche, dei colori armonici, del bilanciamento tra canto e suono e del protagonismo delle famiglie orchestrali e dei singoli strumenti in relazione ai motivi ricorrenti e al ruolo nella trama musicale. Il tutto sempre al servizio dell’opera e del dramma, con gli opportuni silenzi e le pause, ma senza mai cedere alla tentazione dell’applauso in finale d’aria. Ovazioni accalorate e scalpitanti, sostenute dal plauso degli stessi maestri d’orchestra.

Notevole il cast impiegato.

Nel ruolo eponimo si è esibito Leo Nucci, baritono poliedrico e instancabile, che non sembra voler cedere al richiamo dell’età. A fronte di un timbro e di una potenza che iniziano a risentire il peso degli anni, l’esibizione di Nucci è senza dubbio fenomenale per espressività e colore, con un’interpretazione sentita al punto da fondere completamente canto e recitazione, come solo un teatrante esperto può fare. Il suo Simon Boccanegra è corsaro, doge, padre, patriota e moribondo con estrema naturalezza e verosimiglianza, capace di impietosirci, inorridirci e commuoverci nell’arco di un prologo e tre atti. Nel ruolo verrà alternato da Placido Domingo, ormai prestato alla carriera baritonale.

Jacopo Fiesco è il basso Dmitry Beloselskiy, convincente e potente, con voce vibrante e sempre espressivo, il cui colore scuro non adombra i passaggi più melodici e che ben impersona l’altero e superbo nobile genovese. Carmen Giannattasio ha cantato nei panni di Amelia (Maria), incantandoci per il timbro soave e squillante. Espressiva e di buona recitazione, a suo agio nel ruolo della giovane donna in balia degli eventi e degli uomini, cui tenta con tenacia di dare una direzione di pace e di amore. Convincente in tutti i duetti, nei quali ha fornito ottima prova di sé. A luglio sarà sostituita da Krassimira Stoyanova.

Ottimo il Gabriele Adorno di Giorgio Berrugi, che ha incontrato il pieno favore del pubblico. Giovane innamorato e irruente relegato a coprotagonista, Berrugi si è cimentato in questo atipico ruolo di tenore con disinvoltura. La sua interpretazione convincente e sentita ha dato ulteriore lustro al personaggio, con lui dotato di una voce potente e limpida.

Molto bene anche Massimo Cavalletti, Paolo Albiani, in un ruolo che ci ricorda molto quello di Iago e in generale dell’intrigante infame. Espressivo, di spiccata verve teatrale e con voce decisa e puntuale, ha ben interpretato un personaggio ambiguo e gretto, eppure molto umano. Degni di nota il Pietro di Ernesto Panariello, che ha ben eseguito le brevi parti lui assegnate, il Capitano di Luigi Albani, che canta a cappella, e l’ancella di Amelia, Barbara Lavarin, ottima nella brevissima parte.

Spettacolare, come al solito, il coro del Teatro alla Scala diviso in plebei e patrizi, che qui ha dato particolare prova anche delle sue capacità di recitazione. Il successo di sala è stato unanime, premiando così degnamente l’ultima opera in cartellone alla Scala prima della pausa estiva.

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