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Amleto si veste di contemporaneo al Quirino di Roma

Amleto si veste di contemporaneo al Quirino di Roma
Fermata Spettacolo

Il re è morto. “C’è del marcio in Danimarca”. Lo spettro di sua maestà echeggia Nella notte buia di Elsinore fino al canto del gallo. E a tal suon gli spettri non osano vagare, le notti sono salubri e le stelle non maligne. Marcello, Bernardo, Francisco  raccontano l’accaduto ad Amleto, unica presenza buia e triste in un castello ormai sollevato e vitale alla recente scomparsa. La madre e regina Gertrude e  il re suo zio Clausio sono in scena con il ciambellano Polonio, il bravo Rosario Coppolino. Ofelia conscia che la virtù non sfugge alla calunnia, cercherà di cogliere il vero del principe.

La curiosità di Amleto lo spingerà accompagnato da Orazio e Marcello, un’altra notte,  ad incontrare, solo ai lui visibile, lo spettro del padre e a riceverne incitamento a vendicare il serpente che lo ha ucciso e a non lasciare che il suo letto sia covile d’incesto e di lascivia. Solo la vista degli amici Rosencrantz e Guildenstern lo renderà affettuoso e meno malinconico. Ma ecco entrano gli attori il cui unico fine è la morte del re a rallegrarlo nella visione demoniaca dell’assassinio dello zio.

Non crinoline, medaglioni, calzamaglie, gorgiere nei costumi del Vincitore del David di Donatello nel 1999 per “La leggenda del pianista sull’oceano” e plurinominato premio ‘Oscar Maurizio Millenotti, ma giubbe da tedesco per le guardie, tait per il ciambellano, giacche borsalino piuttosto che coppole per gli amici. Maglioni e cappottini, fedeli al nero del testo, per Amleto,  tunichette leggere in tinta ecrù per Ofelia, e un verde smeraldo/petrolio ora strascico e abito lungo,  ora giacca con collo di pelliccia e gonna al ginocchio, in tinta  per la Regina Gertrude.

La regia di Daniele Pecci, egli stesso Amleto, confronta la sua notorietà televisiva, con un  attrice di grande levatura teatrale, quale i rapporti professionali con Giorgio Strehler e Peter Stein suggellano: la bella e valida Maddalena Crippa. Il risultato si sostanzia in un’ineccepibile recitazione di prosa teatrale impegnata.

“Essere o non essere….” contro i dardi della vita quotidiana, meglio sferrare il pugnale. In una reggia disseminata di lamine d’oro, Ofelia, eccellente e precisa Mariachiara Di Mitri, è l’uccellino pronto a spiccare il volo in  nome dell’amore, ma lui non c’è mai. L’ambizione è l’ombra dell’ombra e solo il povero è reale nell’infinito dialogo con la morte. Il finale non può che prefigurare l’epilogo funesto per i protagonisti.

Un palco percorso sempre in diagonale o perimetrale al ring scenico, smuove emozioni e sussulti che vibrano nella società di ogni tempo, come il movimento ora trasversale, ora marginale rispettivamente, nella mente di un giovane e introspettivo regista,  suggeriscono. Ma al dubbio amletico drammaturgicamente voluto da cotanto William Shakespeare si aggiungono quelli di un’attualizzazione accentuata nei gesti e nella terminologia, in un testo di difficile lettura,  ma ricco di interiorità senza tempo anche per il pubblico contemporaneo..

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