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Cenare al buio…

Cenare al buio…

Le “Cene Senza Senso” sono un progetto nato per sensibilizzare l'opinione pubblica sul disagio della cecità in modo innovativo, fuori da ogni retorica, senza la necessità di raccogliere fondi fine a se stessa. Il punto fondamentale è trasformare in esperienza positiva il “non vedere”, portando il cliente a vivere il buio come dimensione sensoriale che stimoli e sappia acuire i restanti quattro sensi. La scelta di utilizzare il cibo come mezzo per la realizzazione effettiva di questa esperienza è fondamentale: l'olfatto, il tatto, il gusto sono particolarmente stimolati dalle pietanze, mentre l'udito percepisce la presenza dei commensali e la sensazione di vuoti e pieni cui solitamente non siamo abituati a dar peso per via delle continue informazioni visive.
Un’esperienza davvero interessante, quella svoltasi alla fattoria “Il noce” di Manduria il 2 aprile. Accolti da un aperitivo, anch’esso preparato e servito dai ragazzi dell’associazione “Incontri ravvicinati” di Firenze, si inizia ad entrare nel “focus” della serata.
Accompagnati in sala direttamente al buio, ci immerge da subito in una atmosfera che a noi che possediamo il bene della vista sembra irreale. La prima sensazione è di stordimento. La testa barcolla, il senso dell’equilibrio vacilla, ed immediatamente ci si accorge di quanto sia importante la presenza degli altri, che ci aiutano creare una mappa mentale senza la quale ci sentiremmo veramente perduti. Lo spazio cambia. Il vuoto sembra enorme, le distanze si allungano. Il calore e la vicinanza delle nostre “guide” si trasforma in bussola ed in àncora. In un mondo buio, i non vedenti sono gli unici a vedere e a poterci guidare, e già questa sola riflessione dà l’idea dell’importanza di vivere – almeno una volta nella vita – questo tipo di esperienza.
Cercare la propria sedia, il tavolo, costruire la mappa della propria mensa alla ricerca delle posate, del tovagliolo, dei bicchieri, col rischio continuo che qualcosa cada, che il bicchiere si versi, che la nostra posata sia usata per sbaglio dal commensale accanto. Tutto questo rende da subito partecipi di una situazione del tutto nuova, diversa, inattesa. La forma di ogni cosa diventa importante, essenziale: distinguere la forchetta dal coltello, la bottiglia dell’acqua da quella del vino, sono le prime tappe obbligate alle quali sottoporsi.
Intanto si commenta, si parla, si cerca la presenza dell’amico, del commensale. I toni diventano immediatamente altissimi, non ci si rende neppure conto, ma si sta urlando tutti, e continui sono i richiami da parte dei ragazzi dell’associazione, che per servire hanno bisogno di un volume più basso. Ci avreste mai pensato, prima? In un mondo buio il cameriere non lo puoi chiamare alzando la mano, ma solo pronunciando il suo nome, e aspettando che egli arrivi e ti tocchi la spalla…
Arriva il cibo, e già dall’antipasto ci si accorge di come occorra distinguere le pietanze attraverso il tatto. Le posate servono a poco, se non sai come raccogliere, cosa tagliare… e in un batter d’occhio le nostre maglie iniziano a raccogliere ciò che inevitabilmente cade. Poi incomincia il balletto dell’acqua e del vino. Le bottiglie devono essere passate di mano in mano, piano, con calma, e tutta la tavola collabora alla bevuta di ogni singolo commensale. Qualcuno si offre di versare, e ci sono solo due modi per farlo senza far tracimare il bicchiere: affidarsi all’udito, ma è quasi impossibile date le grida, ed al tatto, di certo il mezzo più sicuro.
Intanto il pane che hai preso poco fa chissà dove è andato a finire, e sei costretto a prenderne un altro pezzo. Lo ritroverai solo alla fine, quando le luci saranno di nuovo accese, e rispunterà ad un centimetro dalle tue mani. Era proprio lì, è rimasto per tutta la serata, ma era come se non ci fosse, al buio, perso per sempre…
Ogni portata è una catena, ogni sparecchio una collaborazione tra tutti. E’ incredibile quanto si scopra subito che l’uomo è un animale sociale, e che nelle situazioni più estreme solo la collaborazione, l’intesa può fare in modo di salvare ciascuno, di rendere a tutti la vita più facile.
E il cibo? Tutto buonissimo: i sapori si moltiplicano, al buio: di ogni pietanza si distinguono chiaramente i profumi, la consistenza, la presenza di ciascun ingrediente. Sembrano piatti altamente elaborati, quelli che mangiamo, eppure il cuoco ci informa che si tratta di piatti tipici della tradizione italiana. E ciascuno formula ipotesi, si lancia in spiegazioni più o meno dettagliate circa la preparazione, solo alla fine si scoprirà la verità…
Intanto ciò che deve succedere succede, a chi manca di esperienza: qualche piatto cade, qualche bicchiere si rovescia, i tovaglioli cadono, persi nelle tenebre…
Fino al disvelamento finale. Piano, molto piano, torna la luce, dapprima quella naturale, del fuoco, a ricordarci che gli uomini partono da lì, che la società umana ha iniziato dal fuoco la propria crescita culturale, sociale, filosofica. Poi si accendono le luci moderne. Quanto tempo è passato? Anche il tempo - soprattutto il tempo - nelle tenebre, diventa una variabile soggettiva. Per uno un’ora, per un altro due ore, per un altro ancora tre ore…
Qui c’è il vero messaggio, la vera forza comunicativa di questa esperienza: noi torniamo a vedere, ma per i nostri cuochi, per i nostri camerieri, nulla – proprio nulla – è cambiato, e continuano a servirci barcollando, tastando, toccandoci la spalla, esattamente come hanno fatto nelle due ore precedenti. Cosa dire? Soltanto provandola, questa stupefacente esperienza, si può iniziare a capire per un momento – un momento soltanto – cosa sia la realtà di chi la luce non può sceglierla.
Grazie, mille, ragazzi, grazie davvero per averci insegnato tutto!



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