Doctor Strange Nel Multiverso della follia | Stephen Strange è tornato (e Sam Raimi è con lui)
Fermata Spettacolo
L’ultima volta che avevamo incrociato la cappa del Doctor Strange era stato in Spider-Man: No Way Home, film che, pur peccando di eccesso di fan service, aveva scaldato i cuori di tanti Marvel fan ormai un po’ stagionati, cresciuti nel culto della prima trilogia ragnesca targata Sam Raimi.
E siccome il multiverso sarà anche vasto e inesplorato, ma Hollywood lo è molto meno, a distanza di 15 anni il mitico Sam torna dietro la macchina da presa per dirigere un nuovo film Marvel ossia Doctor Strange nel Multiverso della Follia.
Uscito lo scorso 4 maggio, il film ha già all’attivo un incasso di più di 2 milioni di euro che per le sale cinematografiche, soprattutto in questi tempi post pandemici, rappresentano una boccata di ossigeno brandizzato Dom Perignon.
Certo, l’ immediato successo al botteghino non soprende più di tanto, considerate le aspettative che si erano andate a creare grazie alla sapiente opera di world building imbastita da Kevin Feige e dai suoi “dialobolici” collaboratori.
Ma al di là dei prevedibili incassi milionari, il film ha l’indubbio pregio, caso più unico che raro nel Marvel Cinematic Universe, di poter vantare una cifra registica originale, che trasuda Sam Raimi ad ogni trovata e inquadratura.
Ma andiamo con ordine.
La trama, rigorosamente spoiler free, vede l’ex mago supremo Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) alle prese con una nuova, potenziale supereroina, America Chavez (Xochitl Gomez), in grado di viaggiare nel multiverso a suon di pugni. O per lo meno, America ci prova, anche se puntualmente qualcosa va storto. Sarà proprio a causa del suo potere a finire nei guai, visto che il villain di turno lo brama per motivi “familiari”.
E proprio nel viaggio multiversale che America intraprende con Strange, il visionario Sam Raimi dà il suo meglio: tra momenti psichedelici, incontri (in)aspettati e scene creepy direttamente dai suoi trascorsi horror, i 126 minuti del lungometraggio volano sul dorso di una cappa magica.
Il tutto condito da una collonna sonora, a cura di Danny Elfman, capace di dare quel tocco in più, anche sul fronte fan service, alla pellicola e di regalare alcune scene “musicali” che rimarranno nella storia del Marvel Cinematic Universe.
Quindi il secondo capitolo dedicato a Stephen Strange è una macchina perfetta?
Se dal punto di vista visivo è sicuramente un’opera che merita una visione da chiunque ami la settima arte, per quanto riguarda la sceneggiatura c’è più di qualche problema.
A partire dalla coerenza con quanto è stato narrato in precedenza, soprattutto nella serie Loki e in parte in Spider-Man: No Way Home; un peccato reso ancora più grave dal fatto che sia la serie che il film hanno lo stesso sceneggiatore ossia Michael Waldron.
E il sospetto che qualcosa proprio non torni è tutto racchiuso nelle due scene post credit.
Proprio lì, infatti non si intravede traccia di quella trama orizzontale che finora ha rappresentato la vera essenza (del successo) del Marvel Cinematic Universe.
E che sembrerebbe mancare in tutta questa pantagruelica Fase 4, che tra film, serie e cartoni animati sembra ancora alla ricerca di un senso e di una visione.
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