Sorella, la trasposizione, non Troppo Riuscita del romanzo di Lodoli
Fermata Spettacolo

Ecco devo dirlo. “Era meglio il libro”. Quante volte abbiamo pronunciato Questa frase? Con l’audace sfrontatezza del critico dandy, sigaretta fra l’indice e il medio, mezzo cocktail al tavolino di un bar in centro e l’aria da commentatori colti, nipoti della più brillante Nouvelle Vague cresciuti però a pane, nutella, Coca Cola e Netflix? Sarà forse che di questi tempi dalle parti di Noto c’è la necessità di sfatare miti nientemeno che “capitalistici” come Babbo Natale, in luogo di divinità evidentemente “più palpabili”, almeno secondo il vescovo del siracusano che ha deciso di rovinare le festività a tutti i bambini sfortunatamente presenti alla sua omelia.

E allora se Babbo che non esiste, veste i colori della bibita più famosa del mondo al solo fine di venderci “fuffa”, mi sto pericolosamente avvicinando in zona Cesarini a un paragone non troppo dissimile. Parlo di Sorella, il romanzo di Marco Lodoli portato in scena al Palladium in seno al festival Flautissimo 2021. Il problema è che vorrei ribaltare la premessa d’esordio. Vorrei dire che questa visione teatrale sulla storia di una suora che in qualche modo riceve la vocazione comportandosi come una “criminale”, seppur alle prime armi, nientemeno che su suggerimento di un bambino forse autistico (ho banalizzato e sintetizzato malamente), rende giustizia a quelle pagine, all’idea originale del Lodoli ma… Non riesco.  È che è tutto un po’ piatto, dal disegno luci alla regia. Bravi sì gli attori, specie Anna Ferraioli Ravel nel ruolo della protagonista Amaranta, con una voce metallica e penetrante che riesce a catturare, ma non basta.

Fiacchina questa regia di Stefano Cioffi, apprezzato fotografo e regista, che tuttavia sembra tradire con questa messa in scena l’assunto centrale del racconto: “toccare” il mondo da vicino, il più vicino possibile, per raggiungere piuttosto le lontanissime vette dello spirito. Bella e intrigante l’idea del rapporto sopra le righe fra Luca e Amaranta, un bambino e una suora stretti da un’amicizia ai più incomprensibile e che invece riesce a spingere la protagonista verso quella vocazione in cui sembra essersi smarrita. Cosa manca allora a questo spettacolo per prendere il volo? Difficile dirlo, aleggia la noia e si moltiplicano gli sbadigli in sala, forse ciò che andrebbe rivisto è semplicemente il ritmo, grande assente di questa pièce.

Tornano anche qui le sedie colorate dell’asilo, così evocative invece nel riadattamento di Ende della Bartolini, ritrovata anche in veste di attrice, ma stavolta mancano la presa, si cade, proprio come all’asilo e ci si sbucciano le ginocchia, ma non c’è nessuno a soffiarci sopra, distrutte le illusioni come all’omelia anti-capitalista-natalizia del vescovo di Noto. E’ un peccato. Sì, perché sulla carta gli ingredienti ci sarebbero tutti, ma il meccanismo si inceppa, stride, fa schizzare via la molla su cui dovrebbe reggersi il delicato equilibrio della scena. Beninteso non si tratta di un cattivo spettacolo, ma di una resa che ne complesso stagna. Ci resta in bocca solo un po’ d’amaro, anzi d’Amaranta, davvero l’unica a tuffarsi silente nelle tasche di qualche pensiero, per portarvi una riflessione.

Una partita da rigiocare insomma, un po’ come quei match in cui il punteggio luminoso sul tabellone è solo un numero che non rende giustizia, come le avare stelline che si concedono in questa sede. Concesse con tristezza, nell’attesa di una “revisione”, di una “rimpastata”, di una necessaria rivincita. Come direbbe la mia di suorina dell’asilo: la creatura è intelligente, ma non si impegna abbastanza.

Sorella, la trasposizione, non troppo riuscita del romanzo di Lodoli
Fermata Spettacolo