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Il Padrone (L’Ebreo) in scena al Teatro Ghione

Il Padrone (L’Ebreo) in scena al Teatro Ghione
Fermata Spettacolo

In scena al Teatro Ghione, a Roma, in questi giorni, Il Padrone (titolo originale L’Ebreo), di Gianni Clementi, per la regia di Paolo Triestino. Un testo semplice, divertente, ma con significati profondi e uno sfondo dal sapore amaro, seppur velato dalla comicità dirompente degli attori.

Il sipario si apre sull’interno dell’abitazione dei Consalvi, Marcello e Immacolata, interpretati dagli impeccabili Paolo Triestino e Paola Tiziana Cruciani. Siamo negli anni Cinquanta, quando il Boom economico era ancora lontano e la guerra, invece, troppo vicina, come ci spiega il regista stesso. Marcello e Immacolata si ritrovano, a seguito delle leggi razziali, con una casa bella e grande, a Roma, un’attività redditizia e un patrimonio cospicuo, ma non loro. Il vero proprietario della fortuna è L’ebreo del titolo, che potrebbe tornare da un momento all’altro e che, forse, è già tornato. E tra una battuta e l’altra, emerge tutta l’atmosfera dell’epoca, con la paura del diverso, l’intrinseco razzismo della natura umana, l’avarizia e la seduzione come vizi capitali e determinanti per ogni azione.

È una black comedy, dai toni cupi, una storia tragicomica che, soprattutto nel secondo atto, appare anche spietata. Una storia che funziona e colpisce il pubblico soprattutto nella prima parte, poi perde un po’ della sua peculiarità, l’eccesso diventa farsa e ciò che prima era una divertente denuncia sociale diventa una soluzione poco originale.

A reggere l’impalcatura della rappresentazione e della trama i due protagonisti, due punti fermi. Così diversi e per questo così affascinanti.

Marcello è spontaneo, buono, ha crisi di coscienza, teme follemente il ritorno del legittimo padrone di casa. Immacolata è, invece, un’arrivista, un’abile manipolatrice, lussuriosa, che per nulla al mondo rinuncerebbe alla ricchezza acquisita. E Il Padrone lo riviviamo nei suoi racconti come un uomo viscido, un approfittatore, “un giudio”, ma forse non è proprio così… Tra una puntata di “Lascia o raddoppia”, una telefonata con la figlia in viaggio di nozze e una chiacchierata con l’amico “stagnaro” Tito, Marcello ci mostra tutti i suoi dubbi, davvero è tornato l’uomo a cui deve tutto? E come liberarsene?

Però alla fine moglie e marito si mostreranno uniti nell’intento “umano” di preservare la propria ricchezza. E rappresentano l’Uomo nella sua debolezza che cede di fronte al dio denaro e potere.

Vengono rappresentate e sviscerate anche molte delle comuni dinamiche familiari: lei che seduce il marito all’occasione, lui che s’incanta davanti alla televisione, lei che lo rimprovera perché non l’ascolta. In secondo piano, la loro unica figlia, che apparirà solo alla fine, al ritorno dal viaggio di nozze a Venezia.

La scenografia è articolata, ma fissa sul salone della casa. I dialoghi sono veloci e la vicenda scorre senza indugi. Piacevoli le musiche anni ’50.

Applausi ripetuti agli attori, davvero bravi.

Il Padrone (L’Ebreo) in scena al Teatro Ghione
Fermata Spettacolo



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