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“Nel Boccanegra la voce e l’anima non bastano” G. Verdi

“Nel Boccanegra la Voce e l’anima non bastano” G. Verdi
Fermata Spettacolo

A Piacenza, per la prima, più che a dare spettacolo si vuole fare spettacolo, che è cosa assai diversa. Già dai primi accordi con l’ufficio stampa capisci che l’intento è proprio quello di dare una vera proposta culturale alla città e puntare sulla formazione di giovani talenti. Il teatro propone diversi titoli di grandissimo interesse, frutto spesso di collaborazione con altri teatri emiliani che insieme danno origine ad una realtà culturalmente molto vivace che da anni si distingue per l’intelligenza dei propri cartelloni che spesso hanno poco da invidiare alle stagioni di ben più “rattoppate” fondazioni liriche. Nel caso del Municipale di Piacenza poi si è cercato di dare un comune tema denominatore alla stagione che quest’anno è “l’acqua”; il tema inizia sviluppandosi proprio col SIMON BOCCANEGRA per essere esplorato nel corso della stagione con LA GIOCONDA e IL CORSARO, titolo di chiusura.

Contravvenendo così ad ogni logica di marketing, da qualche anno il titolo d’apertura del Teatro Municipale di Piacenza è affidato ad una produzione di “Opera Laboratorio”, avventura nata quasi per caso a Busseto e poi trasferita tra mura del teatro Municipale per volere del direttore artistico, Cristina Ferrari e con il fondamentale aiuto del baritono Leo Nucci. Alcuni giovani artisti sono attentamente selezionati da una regolare audizione per partecipare ad un vero e proprio laboratorio in cui si ha la possibilità, non solo di “montare” insieme lo spettacolo, ma di approfondire l’interpretazione dei propri personaggi, affrontarne e superarne tutti gli scogli musicali o interpretativi avvalendosi della grande esperienza artistica di Nucci che si assume l’onere della regia. Quindi  non una masterclass con “il gran nome della lirica” a dare la sua benedizione, ma una vera e propria scuola-bottega. L’evento della prima si carica così di grande emozione: quella dei artisti, quella del loro “maestro” e del pubblico presente in sala.

Così il 17 ottobre si dà inizio alla stagione lirica 2017/2018 del teatro Municipale di Piacenza: Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, melodramma in un prologo e tre atti.

L’opera è sicuramente tra le più originali e potenti del suo tempo non solo tra la produzione dello stesso genio verdiano ma così pure dei sui contemporanei. E proprio perché non ci sono altri precedenti importanti cui riferirsi che l’interpretazione dei personaggi deve essere risolta tutta nella loro introspezione e proiezione; lo stesso Verdi avrà a adire: “Nel Boccanegra, la voce e l’anima non bastano”. Pur volendo infatti avvicinare il personaggio di Simone a quello di Rigoletto, al confronto la psicologia del primo ne resta ancora più sfumata e intrigante ponendo in grave cimento il baritono che di volta in volta viene chiamato a far rivivere questo ruolo.

Leo Nucci che più volte ha incarnato Simone sul palcoscenico diventando un riferimento per molti interpreti, si trova qui in veste di “mastro bottegaio” a dover trasmettere tutto il peso di un testo così difficile: il cast si mette rispettosamente nelle sue mani e DAVVERO abbiamo Simon Boccanegra in scena. Nella breve intervista che ho avuto il piacere di condividere in queste pagine qualche giorno fa (e di cui qui trovate il link https://www.fermataspettacolo.it/lirica/al-telefono-leo-nucci-della ), il baritono dice di aver ricercato nella sua regia una “non-regia” e così è stato, con risultati magnifici. Il vero lavoro del regista, sempre secondo Nucci, non è quello di voler intromettere il proprio ego tra la volontà dell’autore e l’esecuzione degli interpreti. Il suo lavoro è stato quello di aiutare i cantanti a scavare dentro se stessi trovando il loro personaggio e trovandone un appropriato linguaggio espressivo. Così, in questa concezione di spettacolo tutto diventa semplicemente naturale. Molti sono i momenti profondi, uno su tutti quello in cui Simone riconoscendo in Amelia la bimba creduta persa, dopo averla abbracciata la fa indietreggiare, se la osserva compiaciuto e se la riprende tra le braccia come a dire: “Sei proprio tu, come sei cresciuta, come sei bella!”: uno sguardo, un gesto che tocca nell’animo. Tutto era teatralmente vero, perché oltre che studiato era anche sentito.

Scena d’insieme per il cast di Piacenza

Lo spettacolo poi si avvale dell’esperienza di grandi maestranze già note al mondo della lirica tra cui Salvo Piro per la collaborazione alla regia. Le scene di Carlo Centolavigna sono semplici, molto belle e funzionali ed essendo in perfetta sintonia con gli intenti registici, così come pure i costumi di Artemio Cabassi e le luci di Claudio Schmid, l’impianto visivo dello spettacolo oltre che bello, è uniforme e parla al pubblico un’unica lingua.

Sul versante musicale le cose sono andate assai bene. Merito sicuramente della bella prova dell’Orchestra dell’Opera Italiana che sotto la bacchetta del maestro Pier Girgio Morandi ha illuminato la partitura con precisione e sensibilità. Nei momenti più sfumati il direttore raggiunge sicuramente l’apice interpretativo dando una lettura molto intima a tutta l’opera, non perde di vista comunque il lato politico e la tensione drammatica completando così il quadro drammatico.

Kiril Manolov e Clarissa Costanza

Quanto agli interpreti su tutti spicca il baritono bulgaro Kiril Manolov, a onor del vero già in carriera da qualche anno e la cosa sicuramente ha i suoi vantaggi. Manolov ha indagato il proprio personaggio in ogni sua piega più nascosta. La voce ampia, morbida, sempre ben emessa e appoggiata sul fiato si piega duttile ad ogni dettame della difficile parte: ne esce un Simone nobile e appassionato, sbalzato e scolpito a tutto tondo non lasciando nulla di irrisolto. Così le pagine più meditative e solitarie restano le più incisive della sua interpretazione che grazie anche alla propria interpretazione scenica riesce a fare di Simone quasi un personaggio Shakespeariano.

A tale Simone si contrappone il giovane basso piacentino Mattia Denti, nella parte di Fiesco, con una voce sontuosa di autentico basso nobile: senza problemi scende al fa sotto il rigo restando timbrata ed espressiva, merito sicuramente di un’ottima scuola che gli permette di mantenere l’omogeneità su tutta la gamma e di modulare, trovando spesso belle mezze tinte. Oltre alla voce di notevole pregio, quello che mi ha colpito è stata la sensibilità con cui è stato risolto il personaggio di Fiesco che pur non perdendo la sua identità  ‘inesorabile, profetico e sepolcrale’ (saccheggio sempre dalle lettere di Verdi) è capace di risvolti molto intimi. Un esempio su tutti l’attacco così grave e dolente del celebre “lacerato spirito” con un risultato disarmante.

il basso piacentino Mattia Denti

Il bellissimo ruolo di Paolo Albani è affidato alla voce di un altro giovane in carriera, Ernesto Petti. Il timbro di baritono è molto bello e scuro, la voce generosamente si dipana in questa parte difficile e anfibia tra  bene e male rendendone la giusta statura. Abbandonate le prime asprezze, dettate forse dal nervosismo della prima rappresentazione, l’emissione ha preso quota trovando la morbidezza giusta. L’interpretazione scenica era perfettamente inserita nel contesto non essendo mai “sulle righe” ma cercando una verità drammatica propria.

Da segnalare anche la bellissima prova di Cristian Saitta, nel ruolo di Pietro. Egli possiede un mezzo vocale ragguardevole: ottima cavata, ottimo timbro ne fanno una voce da tenere d’occhio nei prossimi appuntamenti.

Tenera, giovane e quanto mai affiatata è si è presentata la coppia dei giovani amorosi. Iniziamo, per galanteria, dalla giovanissima Clarissa Costanzo, soprano, che è promossa a pieni voti. La sua è stata una lettura appassionata e completamente partecipe del personaggio non sbavando mai né nella tenuta psicologica né in quella vocale. La tecnica è solida e molto buona supportando un timbro pastoso e caldo; via via nel corso della serata prende coraggio e una volta liberata dalle prudenze dei primi passi il canto si fa sempre più luminoso svettando sopra tutti nei concertati e riempiendo la sala. La presenza scenica è molto gradevole e contribuisce a  dare ad Amelia un volto fresco e intenso. Speriamo vivamente che la sua carriera appena cominciata la porti spesso nei nostri teatri. Quanto al Gabriele Adorno interpretato da Ivan Defabiani non si può dire che bene, la voce ha uno squillo tenorile di primo ordine, la maschera è perfettamente tenuta permettendogli di essere sempre luminoso: la voce galleggia sull’aria mai sforzando pur avendo un volume generoso. L’esuberanza giovanile non manca al tenore così come non mancano i toni più sensibili con cui convince tutto il pubblico che lo premia con copiosi applausi a scena aperta al termine del “Dio pietoso rendila”.

A rendere la serata completa, hanno contribuito le pregevoli prove di Paola Lo Curto nel ruolo dell’ancella e di Jenish Ysmanov in quello del capitano dei balestrieri.

La serata termina con un pubblico festante e soddisfatto che accoglie tutti i protagonisti e le meastranze chiamandoli più volte alla ribalta. A far bene una prima non serve dare spettacolo. Quando è così viva l’opera evviva il teatro.

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