Dipinto del Caravaggio: Davide che sorregge la testa di Golia, con sguardo che ai miei occhi appare compassionevole e non di disprezzo, come stesse guardando una parte di se ora recisa ma riconosciuta.
Ecco io credo che Golia sia la nostra parte ego- centrata, bellica, la quale va vista, compresa nella sua manifestazione quotidiana, solo riconoscendola come guerra violenta potremo estrarre la umile spada che recida la nostra identificazione con essa, dando così spazio ad un nuovo Io, pacificato, consapevole, come Davide che osserva con compassione la testa tagliata del suo vecchio Io.
Partiamo da noi, dall’uomo.
Ecco ciò che credo di aver capito in Questo primo anno di Darsi Pace: l’uomo versa in uno stato interiore bellico ma non ne è consapevole, vuole la Pace (anche se non ha idea di che cosa sia) ma produce la guerra.
Per questo vorrei partire riflettendo sulla pace.
Affidandomi ad una frase di Nisargadatta per provare a spiegare quella che penso sia l’unica strada percorribile all’uomo direi per salvare se stesso, una strada di ritorno.
Inizierei così: “Come puoi pensare che vi sia pace e armonia nel mondo se non vi è dentro di te”.
-Nisargadatta
Riflettiamo su queste parole prendendo spunto dall’argomento di tendenza di questo periodo: la guerra, in cui ognuno di noi freme dalla voglia di svelare la propria posizione nei confronti di essa, spesso scontrandosi pur di far valere la propria idea bellica. Abbiamo però qualcosa in comune, che è la voglia di pace, questo desiderio che ci accomuna, e che ci fa sperare in un uomo migliore. Ma allora come mai ci troviamo davanti ad uno scenario apocalittico? Come mai il teatro globale è quello di un pianeta che sta collassando? Di crisi climatiche, sociali, ambientali, economiche, politiche e direi spirituali? Dove sono quei valori a cui attingiamo che esprimiamo nelle nostre conversazioni e nelle dichiarazioni dei politici, i quali si appellano al nome di Dio e all’amore, la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà?
E non ho dubbi che tanti di noi credano fermamente a questi, ma non basta nominare la pace o l’amore se non le hai mai sperimentate con lo spirito.
Quando abbiamo iniziato a perdere il senso dei valori fondamentali della nostra cultura e delle parole che ne conseguono?
Ad ogni livello della vita umana mi sembra evidente che ci sia una grande crisi e molta confusione. Una mente confusa produce un mondo altrettanto confuso.
Ora vorrei porre un’altra domanda, che è la seguente: in che modo nonostante il desiderio di pace che ci accomuna produciamo guerra e distruzione?
Che cos’è sta pace? Come ce la immaginiamo? Come mai tanta devastazione?
Qualcuno potrebbe risponderci che la pace è: assenza di guerra.
Come in cielo così in terra.
Come in alto così in basso.
Come all’interno così all’esterno.
Diamo ora valore a queste parole, lasciamole risuonare.
Una citazione di Lanza del Vasto può rendere meglio l’idea:
“Prima di mettere pace nel mondo bisognerebbe che l’abbiate messa in casa vostra, e non ci può essere pace in casa vostra se non c’è nel vostro cuore, la giustizia è non violenza e libera solo quando l’azione viene dal di dentro e quando il suo ordine riflette l’ordine che regna all’interno”.
La pace è assenza di guerra solo quando l’azione viene dal di dentro e riflette la pace che regna all’interno.
Questo può voler dire che la maggioranza degli uomini versa in una condizione bellica interiore che sfocia nella distruzione esteriore. Se così fosse l’uomo deve impegnarsi ad attenuare e riconoscere questa bellicosità. In che modo? Come possiamo portare pace dentro di noi e soprattutto come ci accorgiamo che siamo in guerra se non rivolgendo lo sguardo? Direi partendo dalle fondamenta, dalle domande più radicali e umili ovvero: come sto adesso? Come sono i miei pensieri? In che stato versa la mia mente? Mi accorgo delle reazioni violente che ho durante le mie giornate e di cosa le ha stimolate? Da cosa derivano? Ponendoci queste domande entriamo in una relazione diversa con noi stessi, per cominciare a vedere la guerra che ci abita, scendendo un po più giù e non rimanendo ancorati alla superficie riflettendo inconsapevolmente morte e disperazione.
È quindi indispensabile un Io che ri-nasce e che osserva se stesso, i moti interiori e le reazioni, al fine di riconoscerle come non sue e come frutto di condizionamenti, in modo da potersene pian piano distaccare, lasciando al nuovo spazio di nascere.
Oltretutto la pace va sperimentata concretamente, non è più accettabile che questa parola venga svuotata di ogni senso, ridotta a strumento e paragonata all’aria condizionata come fosse merce di scambio, non può divenire un fine o un qualcosa che può essere ottenuto perché la pace è già data.
É iniziando a compiere i primi passi dentro di noi che possiamo snodare i nodi della nostra personalità, capire più a fondo i nostri bastioni mentali, che abbiamo eretto e che ci conducono a sperimentare un’esistenza tutt’altro che pacifica.
È percorrendo la strada interiore che possiamo sperimentare questo sguardo pacificato che non è determinato dalle cose di questo mondo, che è pura presenza e testimonianza, e ad abbandonarci ad esso.
“In questa sottile sensazione
che provo ora,
qualcosa non è determinato
dagli eventi della vita,
dalle sofferenze e dalle gioie,
ma dal flusso dei pensieri
è continuamente offuscato
questo sapore di vivere”.