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CENERENTOLA - Uno spettacolo di fetish


Avremo modo di ritornare sul mito di Cenerentola, forse il mito feticista che ha avuto più successo a livello globale. Richiamo per il momento una recensione di Giuseppe Distefano molto "sensibile" alla nostra tematica.


Curiosa, e bellissima, coincidenza nell'arco di pochi giorni. Due versioni di "Cenerentola" in concomitanza: al Teatro Massimo Bellini di Catania quella di Jean-Christophe Maillot con Les Ballets de Monte-Carlo, e quella di Matthew Bourne al Ravenna Festival.
Da quando la fiaba in balletto è nata – debutto al Bolshoi nel 1945, musica di Prokoviev e coreografia di Zacharov - non c'è stato chi non abbia cercato di ribaltarne trama e significati, portandola su terreni particolari. Compreso Rossini che sostituisce la matrigna con un patrigno. Per non parlare poi dei nostri contemporanei. Da Maguy Marin a Lindsay Kemp; da Nureyev a Heinz Spoerli, da Aleksej Ratmanskij a Neumeier, al nostro Fabrizio Monteverde. En travesti, bamboleggiante, trasgressiva, hollywoodiana, femminista, introspettiva, e via di seguito, l'intramontabile storia si presta, per il suo plot, a molteplici chiavi di lettura.

In questa di Maillot, del 1999, visivamente un capolavoro di scene e costumi
che unisce elementi di modernità a citazioni barocche, non abbiamo più nella scarpetta fatidica il centro focale. Il principe è, praticamente, un feticista. Descritto come un edonista inquieto e viziato, egli va all'inseguimento di una fanciulla dal piede puro e delicato di cui si è innamorato. In termini psicanalitici, dunque, al simbolismo sessuale della scarpetta subentra il feticismo del piede. Coreografo prolifico, alla guida della compagnia monegasca dal 1993, Maillot miscela linguisticamente classico e moderno, con un vocabolario teatrale che sulla base di una tecnica rigorosamente accademica vira in modalità contemporanee tra astrazione e movimento puro.
Gaia e scattante, poetica e critica, la sua "Cenerentola", oltre a evidenziare l'umanità dei personaggi, ha una forte valenza psicologica. C'è infatti nella protagonista l'identificazione – reale o immaginata – della madre morta e della fata, in un costante desiderio al ricomporsi della sua originaria famiglia. Già nel prologo il passo a due dei genitori (che ricorda Romeo e Giulietta) diventa il ricordo di una felicità perduta. Realtà e sogno si confondono continuamente, avendo nell'immagine del piede il filo rosso del balletto.
Dentro un impianto scenografico di gigantesche pagine bianche, sono molte le scene-madri: la messinscena di una rappresentazione caricaturale della sua stessa storia raccontata dalla fata con una divertente sfilata di manichini manovrati dai cosiddetti "ministri del piacere" (al posto dei topi); la vestizione della ragazza con lo stesso abito indossato dalla madre al suo ultimo ballo, con il piede che, in quel momento, brilla illuminato di lustrini; e, in contrapposizione, i piedi neri e orribili delle due sorellastre quando il principe le prova la scarpetta.
L'intero balletto è pieno di sequenze che incantano, sia per i costumi stravaganti e coloratissimi le cui fatture ricordano i manichini di De Chirico, le maschere grottesche, le invenzioni sceniche; ma soprattutto per quello stile di danza che dal neoclassico sfuma nel moderno con vivacità e purezza, e per quel andamento buffo e regale, illustrativo e onirico della drammatutgia. Che fa chiudere il balletto con l'audace invenzione di Maillot di far danzare la fata-madre con il padre. Sogno di espiazione e di ritrovata felicità.

Cenerentola, coreografia di Jean-Christophe Maillot, musica di Sergej Prokof'ev, Les Ballets de Monte-Carlo. Al Teatro Massimo Bellini di Catania.
www.teatromassimobellini.it


Una Cenerentola sotto le bombe della Seconda Guerra mondiale
in una Londra distrutta dai bombardamenti di Hitler? Per niente inverosimile per Matthew Bourne. A sostegno di questa rilettura c'è la considerazione del reale contesto storico in cui Prokof'ev scrisse la partitura del celebre balletto. Il clima in cui nacque era quello della Russia sovietica che rinasce dalla guerra, e il compositore non poteva non risentirne.
Ascoltarla ora, nei suoi toni oscuramente romantici come non ci eravamo mai accorti, liberata dell'immagine di tutte quelle variazioni fiabesche del balletto romantico, accompagnare i movimenti e illustrare l'attuale messinscena di Bourne combacia perfettamente. L'acclamato coreografo e regista inglese, campione di sold-out, reso famoso dalla rilettura iconoclasta di un "Lago dei cigni" con pennuti tutti maschi, ha al suo attivo diverse riletture di balletti classici, e non solo, trasformati in originali musical. "Cinderella" è uno spettacolo del 1997, ora rimaneggiato ma sempre lussuoso e identico nella struttura, creata per la sua New Adventures Company.

L'immagine di
un'enorme scarpetta luccicante, sullo sfondo cupo di rovine di guerra, copre l'intero boccascena all'ingresso in sala. Partono filmati d'epoca sulle avvertenze da seguire in caso di allarme aereo. Il titolo proiettato "Cinderella" ci immerge subito in un mondo da film, e la percezione, per tutto il tempo, è di assistere ad un classico del cinema. La magia di questo spettacolo sta proprio nel mixare con grande maestria danza, cinema, teatro, musical, senza distinguo per l'uno o l'altro genere. Ma che il coreografo londinese si sia ispirato al mondo cinematografico è ben evidente.

Vi sono molte citazioni di classici, principalmente il film di Powell e Pressburger "Scala al paradiso" del 1946, dove un pilota della Raf sopravvive per miracolo al suo aereo schiantatosi nel mare. Questo personaggio, al posto del principe, lo ritroviamo nella versione di Bourne che racconta, in sostanza, una storia d'amore e conflitti in tempo di guerra. La poveretta vive vessata con una matrigna ubriaca, sessuomane e dalle tendenze omicide (simile a Joan Crawford), con un padre paralizzato e in carrozzella, e, oltre alle due sorellastre, con tre fratellastri, il feticista, l'imbranato, il gay.


Al posto della fata c'è un onnipresente Angelo platinato in eleganti movenze alla Fred Astaire, che trascina la fanciulla, prima goffa e occhialuta, poi in elegante tulle e tacchi a spillo, su una sidecar per condurla alla festa da ballo. Il salone è il famoso Cafè de Paris, luogo di divertimento ed evasione, che, semidistrutto, ritorna a vivere nel suo fulgore in una sorta di flashback della protagonista tra sogno (o incubo) e realtà, e dove lei appare dalle scale scintillante come Ginger Rogers. C'è tempo per una notte d'amore col bel pilota - sulla musica "rubata" a "Romeo e Giulietta", sempre di Prokofiev, del quale ricalca la sequenza coreografica -, prima che il sogno si infranga per i bombardamenti. Lei viene portata via in barella, lui disperato la cerca inutilmente con la scarpetta in mano. Vaga tra le macerie, nei bassifondi, nella metropolitana, lungo il Tamigi.


Si ritroveranno casualmente in ospedale dove lei, che ha perso la memoria, la riacquisterà sentendo l'urlo del suo amato sottoposto a elettrochoc. Partiranno insieme per il viaggio di nozze dalla stazione di Paddington, luogo di addii perché la guerra continua. Si chiude quindi in un clima di malinconia anche se lo spettacolo brilla di vivacità e di humour grazie anche alle scene accurate e lussuose e ai costumi vintage. Non aspettatevi però chissà quale innovazione coreografica. Le danze mescolano vari generi e l'insieme e catalogabile al musical. Ma di gran classe. Un piacere, oltre per gli occhi, per le orecchie, perché la musica di Prokofiev è in sound surround.


"Matthew Bourne's Cinderella", direzione e coreografia di Matthew Bourne, scene e costumi Lez Brotherston, luci Neil Austin, suono Paul Groothuis. Prima italiana in esclusiva per Ravenna Festival.
www.ravennafestival.org


ilSole24Ore, 18 giugno 2011


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