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E se l’esposimetro non funziona? Scopriamo la regola del 16…

Esporre significa far agire sulla pellicola la quantità di Luce necessaria perché il futuro fotogramma si accosti, quanto più possibile, al soggetto, in base alla resa cromatica, alla gradazione dei toni e alla luminosità. Generalmente la luce debole necessità di un’esposizione più lunga, mentre in situazioni di forte luminosità ambientale il fotografo può agire sia sul controllo della profondità di campo che sul tempo di apertura dell’otturatore. In ogni caso l’esposizione ideale e corretta può essere determinata con maggior precisione ricorrendo ad un esposimetro, ovvero ad un apparecchio di misurazione dell’intensità della luce utilizzato per ottenere il valore più opportuno di apertura del diaframma e del tempo di posa in fotografia. Ma se dovesse rompersi? Se all’improvviso non dovesse più funzionare?

Alla scoperta della regola del 16

Scoprire la Regola del 16 impone un breve viaggio nell’ancien mondo della fotografia analogica, quando le pellicole primeggiavano come supporto di registrazione dell’immagine e gli esposimetri erano un particolare lusso dei professionisti. Con la nascita delle prime fotocamere compatte e poi delle reflex, le pellicole venivano vendute in dei particolari rullini sulla cui confezione il produttore indicava i relativi tempi e diaframmi da utilizzare per scattare con il supporto acquistato. Quindi, a seconda delle diverse condizioni ambientali in cui avveniva la ripresa, il fotografo si trovava a dover esporre sulla base di queste indicazioni di fabbrica per ottenere dei risultati certi, ma non sempre accettabili.

Per chi si trova alle prime armi non è semplice, possiamo sempre farne prova, riuscire ad individuare le differenze tra un’ombra chiara ed una scura, tra un cielo coperto ed uno appena nuvoloso. Inoltre tali accorgimenti ledevano la performance fotografica e l’estetica del risultato, in termini di contrasto e saturazione del colore.

In ogni caso, per chi non possedeva l’esposimetro e aveva perso la tabella d’esposizione allegata alla pellicola, c’era un possibilità di salvezza: la regola del 16. Il punto di partenza è dato dalla situazione di pieno sole dove si dovrà aprire il diaframma a f/16 e quindi impostare il tempo di scatto dell’otturatore in base al reciproco della sensibilità della pellicola utilizzata. Ma non vi preoccupate… entriamo nel dettaglio e spieghiamolo meglio.

Impostare il diaframma f/16 e poi dividere un secondo per la sensibilità della pellicola.

Il fotografo che si trova a voler scattare in pieno giorno, quindi in una situazione di alta quantità di luce solare, con una reflex analogica, la cui affidabilità dell’esposimetro non è stata accertata, può impostare l’apertura del diaframma a f/16 e poi calcolare il tempo di scatto in base alla sensibilità della pellicola. Per farlo deve prima di tutto conoscere il valore ISO della pellicola, argomento ampiamente trattato in un articolo di questo blog, e poi dividere il tempo di un secondo per questo numero. Se ad esempio la pellicola ha una sensibilità di 125 ISO, il nostro dovrà scattare con un tempo pari ad un cento-venticinquesimo (1/125) di secondo per avere la giusta esposizione.

In modo consequenziale la regola del sunny 16, così chiamata dagli anglofili, crea un ordinato rapporto per scala esponenziale tra tempo, diaframma e sensibilità della pellicola. Se invece di impostare f/16 decidessi di ridurre la profondità di campo con un f/11, la regola impone di compensare questo eccesso di luce, causato dall’apertura del diaframma, con l’aumento di uno stop della velocità di scatto. Nell’esempio sopra riportato andiamo quindi a modificare i valori in f/11 e un duecento-cinquantesimo (1/250) di secondo. Possiamo comunque trasformare ulteriormente questi valori nella coppia tempo/diaframma equivalente che ci è più congeniale, giungendo anche ai valori limite tecnici della fotocamera analogica, per esempio f/5.6 e 1/1000.

Come è ovvio che sia, la regola del 16 adotta una lettura alternativa della luce incidente, per questo tende sempre a dare come risultato un valore medio della scena adatto a riprodurre tutti i toni come sono dal vero: un bianco produrrà molta esposizione sulla pellicola, un nero poca. Perciò la fotografia così esposta interpreta alla lettera la realtà della scena.

Consigli, e sconsigli, per i principianti.

Se la luce è difficile ed eterogenea e siamo indecisi sul suo valore, si può sempre effettuare la cosiddetta esposizione a forcella, ovvero scattare più fotogrammi dello stesso soggetto sovraesponendo e sottoesponendo di uno stop rispetto al valore stabilito. Tuttavia considerate che stiamo comunque lavorando in modalità analogica, quindi avremo un risultato osservabile solamente dopo una stampa in camera oscura.

Purtroppo per quanto riguarda la fotografia degli interni è quasi impossibile applicare la regola del 16, ma ci si può fidare solo della propria esperienza, effettuare varie prove e sperare nella fortuna… Il consiglio è di esercitare l’occhio a riconoscere la quantità di luce presente sulla scena e tentare di calcolare, in base alla propria esperienza, i valori che riescano a mediare tutti le luminanze poi registrate dall’immagine. Conviene svolgere questa esercitazione quando l’esposimetro funziona perfettamente, in modo da avere una immediata conferma alle nostre supposizioni.

Continuando nell’analisi della regola del 16 su alcuni modelli entry level sono installate delle tabelle che riportano gli orari del giorno e delle stagioni. La quantità di luce che cade su un soggetto è dipendente dalla fonte di luce primaria, che è il sole, e da quella secondaria, che è il cielo. Dall’estate all’inverno, come la rivoluzione copernicana insegna, la distanza tra sole e terra varia, perciò la regola del sole si basa sulle condizioni di luce tra primavera e autunno. In inverno dovremo aprire uno stop in più per compensare la minor pressione di luce dovuta alla maggior distanza tra il nostro pianeta e il sole. Stesso principio di compensazione può essere valido per riprese vicine all’alba o al tramonto, quando le luminanze sono meno incidenti sul soggetto.

Conclusione: è utile oggi la regola del 16?

Alzi la mano chi utilizza oggi, praticamente, la regola del 16. Pochi o nessuno? Il digitale, e con questo il conseguente sviluppo tecnologico di tutti i componenti della fotocamera, ha permesso di produrre dispositivi sempre più affidabili e robusti, ma sempre incapaci di pensare.

Poiché è proprio l’esercizio della facoltà intellettiva, insieme ad uno spiccato utilizzo dei sensi per riconoscere le variazioni climatiche, a determinare il (fu) successo della regola del 16.

Tale accorgimento, con l’inevitabile avvento del digitale a livello sociale, ha determinato l’anti-economicità della regola del 16.

Oggi preferiamo affidarci in modo fideistico alla tecnologia e solo in particolari circostanze, in caso di guasti al dispositivo o in conseguenza di particolari incidenti, ci rendiamo conto di come questa veicola il nostro modo di catturare la realtà. In questo senso conoscere modi alternativi per regolare i nostri scatti è utile per crescere professionalmente, ma chi odiernamente preferirebbe rinunciare ad una comoda e precisa lettura di ciò che stiamo catturando per calcolarsi, con i propri sensi, i valori delle luminanza? Chi vuole più, ormai, rinunciare alla qualità e fare un esercizio mentale per poi ottenere scatti imprecisi e poco coinvolgenti?

A voi le risposte…



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