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Il 2017 è stato l’anno della resa dei populismi all’establishment

L’anno scorso, all’incirca nel medesimo periodo, la nostra redazione pubblicò un articolo in cui si elencavano le vittorie che partiti e movimenti populisti avevano collezionato nel corso del 2016: dalla Brexit all’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America contro la rivale Democratica Hillary Clinton fino alla bocciatura della riforma costituzionale proposta dall’allora Governo Renzi. Segnali tanto evidenti facevano presagire una costante avanzata delle forze politiche europee antisistema anche nel corso del venturo 2017, previsione che nel corso di quest’anno si sono infrante brutalmente contro il muro della realtà.

Il primo appuntamento perso, come ricordato nell’articolo già citato, è stata la sconfitta del partito di estrema Destra FpÖ sotto la candidatura di Norbert Hofer alla corsa presidenziale in Austria, dove invece si aggiudicò la vittoria il candidato dei Verdi Alexander Van der Bellen: il programma del Partito sovranista non deve aver convinto l’elettorato austriaco, forse soprattutto per l’eccessiva durezza nei confronti del rapporto con l’Unione Europea.

Il secondo insuccesso elettorale dei movimenti populisti europei, in ordine cronologico, fu quello avvenuto in Olanda, dove il candidato anti-europeista e anti-islamista Geert Wilders venne respinto dall’avversario liberale Mark Rutte, il quale venne riconfermato Premier. La speranza in una vittoria di Wilders era fievole, ma quella sconfitta fu solo la prima di una lunga serie che decretò la salvezza dell’Unione Europea.

Pochi mesi dopo, infatti, si tennero le tanto attese elezioni presidenziali francesi, in cui la candidata del Front National Marine Le Pen rischiava seriamente di diventare la nuova Inquilina dell’Eliseo. Pur finendo al ballottaggio, la tanto temuta Le Pen andò incontro a una disfatta totale: il rivale indipendente progressista Emmanuel Macron riportò una vittoria schiacciante (66.1% contro 33.9%). Da quel momento in poi l’élite liberal-democratica europea sapeva che avrebbe potuto prendersela con comodo, dal momento che la candidata più pericolosa era stata fermata. Infatti alle successive elezioni legislative il partito di Macron fece il pieno di seggi dove invece il Front National si ritrovò spolpato.

Il tracollo delle forze populiste venne decretata dalle elezioni federali tedesche tenutesi a fine settembre, riconfermando il partito di Angela Merkel come il più votato. Il partito anti-sistema e anti-euro Alternative für Deutschland guadagnò molto terreno elettorale rispetto alle precedenti votazioni, ma non furono abbastanza per incidere un segno indelebile nella politica tedesca ed europea.

Cosa rimane oggi di questi partiti e movimenti? Eclissata la possibilità di una loro eventuale vittoria politica, essi sembrano essere definitivamente spariti dalla scena mediatica. In altre parole, non sono più un pericolo per l’establishment.

Il Front National è caduto in pezzi, tra liti intestine e giochi di potere, dovendo iniziare un percorso di riabilitazione interna al fine di ridefinirne identità, valori e progetti. Non per nulla, poco dopo la disfatta elettorale, Marine Le Pen dichiarò che l’uscita dalla Moneta Unica, cavallo di battaglia del Front National durante la corsa presidenziale, non sarebbe stata “più una priorità, abbandonando di fatto la lotta per la sovranità economica del popolo francese.

Allo stesso modo in Austria ha reagito il partito di Heinz-Christian Strache, il FpÖ, alleatosi con il Partito Popolare del giovane Cancelliere Sebastian Kurz: sebbene il governo austriaco con Strache nelle vesti di vice Cancelliere abbia decisamente virato a Destra, il punto più importante del programma antisistemico del FpÖ è stato letteralmente smantellato, abbandonando l’idea di un referendum sull’eventuale uscita del Paese dall’Unione Europea. Non solo: Strache ha anche dichiarato non molto tempo fa che “contribuiremo come partner attivo e affidabile all’ulteriore sviluppo dell’Unione europea” e che “solo in un’Europa forte ci può essere un’Austria altrettanto forte, dove saremo in grado di sfruttare le opportunità del 21° secolo“. Tra l’antieuropeismo e l’europeismo c’è di mezzo la poltrona.

Afd in Germania non se la passa meglio: infatti appena al primo giorno nel Bundestag, dopo gli spogli delle elezioni, la leader Frauke Petry ha abbandonato il suo gruppo assieme ad altri tre neoeletti, spaccando il partito e relegandolo all’inconcludenza politica.

Il quadro oggi appare dunque squilibrato: se esattamente un anno fa l’Europa – e l’Occidente in generale – sembrava contesa dai due poli del liberal-progressismo e del sovranismo, allo stato attuale delle cose la bilancia sembra pendere nettamente in favore del primo. Come quando nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e la disfatta dell’Unione Sovietica lo Spettro del Comunismo abbandonò per sempre l’Europa, così il 2017 sembrerebbe aver firmato la condanna delle forze cosiddette populiste. La storia si ripete, e i vincitori possono banchettare tranquilli nella loro Torre di Cristallo a Bruxelles.

di Giuseppe Comper

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