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Non gettiamo l’Italia con l’acqua sporca del mondialismo

Come è risaputo, un tempo professavo un lombardismo radicale (a tratti, diciamocelo, parecchio esasperato e grottesco) che teneva in completa non cale l’Italia e l’italianità e per quanto non spudoratamente indipendentista (essendovi ben altre priorità) decisamente orientato ad una separazione dal resto del Paese, a partire dalle basi etno-culturali. Tre anni fa il cambio d’indirizzo, non per chissà quale folgorazione sulla via di Roma, ma per una personale necessità di completezza derivante dal recupero del senso più genuino d’Italia, che nulla ha a che vedere con le vicende dal 1859-61 in poi. Come ho diverse volte già detto non ho tradito la Lombardia in favore della Repubblica Italiana (ci mancherebbe pure, considerando le grane derivatene: io non sono un sostenitore di questa colonia americana nata in seguito ai fatti dell’8 settembre 1943, perciò nemica dell’identitarismo), ma ho recuperato l’Italia, armonizzando la questione lombardista all’interno di una più ampia cornice storica italica.

Gettare il bambino con l’acqua sporca, ossia l’Italia con le entità statuali che dicono di rappresentarla (male, anzi sovente malissimo), è stata un’operazione che alla lunga mi ha stancato proprio perché necessitavo di una maturazione, un’evoluzione, che mi portasse ad allargare il raggio di pensiero ed azione ad una panoramica più ampia e complessa, che non si limitasse al particolarismo ma andasse a prendere in considerazione il quadro storico, culturale, sacrale, tradizionale e (anche se flebilmente, soprattutto nel rapporto Nord-Sud perché il Centro è una ottima cerniera) etnico che senza dubbio racchiude tutte le realtà italiche/italiane dello spazio geografico che va dalle Alpi alla Sicilia, dal Varo al Carnaro. Un quadro il cui fulcro, il cui perno fondamentale, è rappresentato dall’incomparabile gloria della nostra eredità romana che riguarda, innanzitutto, l’Italia e i suoi figli.

Capite bene che non possiamo ridurre a pernacchie e battute da trattoria di taglio leghista un patrimonio inestimabile come questo; sebbene la Roma contemporanea sia una remotissima parente di quella antica (ma un discorso eguale lo si potrebbe fare con le sempre più cosmopolite Milano, Torino, Genova, Bologna ancorché meglio organizzate), essa rimane il punto di riferimento degli Italiani, la culla della nostra civilizzazione e nulla, e ripeto nulla, può andare a scalfire il prestigio, la grandezza, il fasto della romanità tradizionale, poiché se Siamo ciò che siamo lo dobbiamo alla continuatrice occidentale dell’opera intrapresa dalla Grecia, e cioè appunto la Capitale.

Oggi parlare di Italia, o di Roma, significa – per la massa – rimestare nel torbido dei soliti triti e ritriti stereotipi creati dagli stranieri e recuperati dai detrattori dell’Italia unita (e cioè dell’Italia intera, completa di tutte le sue parti, non mutila); ci tiriamo la zappa sui piedi, finiamo per odiare noi stessi, facendo ridere persino i polli forestieri con le guerre interne tra polentoni, coatti e “terroni”, forestieri che di certo non stanno a distinguere tra Nord, Centro e Sud, buttato tutto nel calderone dei pregiudizi, peraltro tenuti in vita da noi stessi. Le accuse sono le solite: pasticcioni, litigiosi, individualisti, campanilisti, codardi, disfattisti, furbacchioni, donnaioli (e lasciamo perdere quelle peggiori che fondamentale si basano sulle pecche del profondo Meridione). Di certo i secessionismi o le bordate grondanti ignoranza e pressapochismo fatte da Italiani contro l’Italia (e dunque contro sé stessi) non migliorano la situazione perché, anzi, corroborano le opinioni negative che si fanno all’estero su di noi e che dunque rievocano secolari scenari di “Francia e Spagna basta che se magna”.

Ma badate che sotto molti aspetti è ancora così. Perché l’Italia conta per il cibo, il turismo, l’arte, la cultura, la fede, il pallone, le donne ma quando si viene a parlare di politica, economia, difesa, geopolitica, alleanze strategiche, insomma delle cose più serie e decisive, noi si conta come il due di picche, il che autorizza Usa, Francia, Germania ecc. ad ottenere carta bianca per spadroneggiare a casa nostra. In una situazione in cui, oltretutto, siamo sommersi dagli stranieri che in Italia non ci arrivano con aerei, navi o auto di lusso ma con barconi e canotti.

Davvero qualcuno crede che fare a pezzi l’Italia tirando fuori dal cilindro Sardegna, Sicilia, Sud, Toscana e Lombardo-Veneto indipendenti possa cambiare radicalmente ciò che viviamo oggi? Ci siamo davvero già dimenticati che ne era degli Italici preunitari, ossia il supermercato di Francia, Spagna, Inghilterra, Austria, Svizzera e persino Arabi e Saraceni? Mi direte: siamo colonia anche oggi; certamente, ma questo proprio perché non esiste alcuna coesione tra le varie parti d’Italia il che di fatto è un invito a nozze per i plutocrati stranieri ancora convinti che l’Italia non sappia governarsi e abbia bisogno di 113 installazioni militari americane, con tanto di Francia che sta comprando una miriade di aziende italiane alla faccia dell’Unione Europea e di altre baggianate europeiste che valgono per tutti eccetto per Francesi e Tedeschi.

Non da ultimo esiste ancora quell’atavica cancrena che divide e avvelena gli Italiani, e che si chiama Vaticano, un corpo estraneo incistatosi proprio nel cuore del Paese per attossicarne la più schietta natura classica, gentile, indoeuropea, un corpo estraneo che da millenni impedisce a questo Paese di essere un Paese rispettabile e davvero indipendente da tutto e tutti. Naturalmente il peso temporale, ma pure spirituale, del papa di Roma è oggi completamente ridimensionato, ma il Vaticano, che un tempo sguazzava nell’oscurantismo, oggi è un agente sul libro paga del mondialismo e dei suoi immondi disegni antinazionali e xenofili. Basta solo vedere che razza di personaggio sia Bergoglio…

Non sarebbe forse meglio parlare con una voce sola senza irrazionali derive neofasciste o secessioniste? Facendosi così valere non solo in campo culturale e artistico (contesti, per carità, molto importanti) ma anche e soprattutto in campo politico, economico e militare? Io ho come la sensazione che l’indipendentismo covi sotto la cenere l’atavico complesso del cameriere pronto a lustrare gli stivaloni dell’Austria-Ungheria o dei Borbone franco-spagnoli, pur di liberarsi da Roma e dall’unità d’Italia, e le vette più sublimi del ridicolo si raggiungono con quei Siciliani da barzelletta che arrivano ad esaltare la dominazione araba e l’islam rivendicando fantasiose radici semitiche che separerebbero la Sicilia dal continente. Rendetevi conto dove può portare certo fanatismo: ad odiare sé stessi, a sputarsi addosso, arrivando a sviluppare una tragicomica sindrome di Stoccolma.

Personalmente, al netto dei precedenti eccessi, non ero deficiente prima e non credo proprio di esserlo adesso; io ho raggiunto la fondamentale sintesi che manca ancora a chi preferisce inseguire chimere indipendentiste o, al contrario, ducesche, optando per la ragione e la cultura depurata da disfattismo, complottismo e settarismo, ora anti-italiano ora anti-nordista. L’Italia esiste come esiste la Lombardia od ogni altra realtà etno-storico-culturale d’Italia e il miglior servigio che possiamo offrire alle nostre radici, e quindi alla memoria dei nostri padri, non sono gli estremismi opposti ma la scelta equilibrata di un patto etno-federale tra Italiani che sappia rispettare l’unità nazionale, forgiata a partire da Augusto e la romanizzazione, e le ovvie differenze che intercorrono tra i vari areali etno-culturali individuabili nella Penisola: Lombardia, Venezie, Etruria, Ausonia, Enotria e Sardegna.

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