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Per la più bella del mondo

A seguito dell'esito negativo del referendum dello scorso 4 dicembre, delle dimissioni di Renzi e dell'insediamento di Gentiloni, considerato che manca poco più di un anno alla scadenza naturale della legislatura, è alquanto improbabile che la politica nostrana torni presto ad occuparsi del tema delle riforme costituzionali. Dovendosi ritenere tramontato il progetto Renzi-Boschi, penso che si possa iniziare ad esaminarlo anche con la lente dello storico, in confronto a quanto in precedenza è stato proposto per modificare la Costituzione repubblicana del 1948. La riforma costituzionale del 2001, sottoposta a referendum confermativo con esito favorevole, ha modificato il Titolo V°, ampliando le funzioni ed i poteri degli Enti locali. E' stata una risposta, seppur limitata, alle esigenze di autonomia e di decentramento che i cittadini avevano manifestato nel corso del tempo, per superare la concezione centralista dello Stato, affermatasi con l'Unità d'Italia. Tale riforma, tuttavia, non ha modificato i rapporti tra i principali organi istituzionali dello Stato, ossia il Parlamento, il Governo ed il Presidente della Repubblica. Contrariamente a quanto sostenuto dai promotori, anche il progetto Renzi-Boschi non avrebbe intaccato sostanzialmente i rapporti tra i suddetti organi. In particolare, non sarebbe venuto meno il rapporto fiduciario tra il Governo ed il Parlamento, non sarebbe cambiata la modalità di formazione dell'Esecutivo e, relativamente al Presidente della Repubblica, non sarebbero mutati i relativi poteri, mantenendo peraltro l'elezione indiretta. In pratica, non sarebbe mutata la forma di governo, rimanendo una repubblica parlamentare in cui, peraltro, i cittadini non avrebbero più partecipato alla designazione dei membri del Senato. Ritengo, invece, che il progetto di riforma costituzionale proposto in precedenza dal centro-destra fosse certamente più utile per garantire quella stabilità di governo promessa dal testo voluto da Renzi. Il progetto del 2006, infatti, avrebbe mutato gli equilibri tra i poteri dello Stato, a favore del cosiddetto Primo Ministro, responsabilizzando il Parlamento di fronte all'esito delle elezioni politiche. In particolare, il testo del 2006 avrebbe impedito il trasformismo in corso di legislatura, evitando la formazione di maggioranze politiche diverse da quanto sarebbe risultato dalle urne. I cittadini avrebbero saputo chi sarebbe potuto divenire Primo Ministro già in campagna elettorale, perché il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto affidare il compito di formare il Governo al capo della coalizione che avesse vinto le elezioni politiche. La riforma, quindi, avrebbe escluso la discrezionalità di cui all'art. 92 cost., circa la nomina del Capo del Governo da parte del Presidente della Repubblica. In tal caso, quindi, il Governo sarebbe stato veramente eletto dal popolo, a differenza di quanto avviene oggi, nonostante la diversa convinzione della maggioranza dell'opinione pubblica italiana. Al di là delle considerazioni sui notevoli poteri di cui avrebbe goduto il Governo e sul bicameralismo imperfetto che sarebbe derivato dall'entrata in vigore della riforma, la Camera avrebbe dovuto assumersi la responsabilità diretta circa la sfiducia verso un Primo Ministro designato direttamente dai cittadini. La riforma, infatti, avrebbe introdotto la cosiddetta sfiducia costruttiva, che prevedeva la possibilità per la Camera di revocare la fiducia al Primo Ministro, con conseguenti dimissioni del Governo e con obbligo di indicare un nuovo Capo dell'Esecutivo entro un termine, con il sostegno della stessa maggioranza derivante dalle elezioni politiche. In caso contrario, la Camera sarebbe stata sciolta, con conseguenti nuove consultazioni popolari. Sarebbe stato necessario indire elezioni anticipate, inoltre, qualora una mozione di sfiducia verso il Primo Ministro fosse stata respinta grazie al voto di deputati appartenenti all'opposizione. In tal caso, infatti, lo scioglimento della Camera sarebbe stata la conseguenza dell'affermazione di una diversa maggioranza politica. La riforma del centro-destra, quindi, avrebbe impedito mutamenti di maggioranze nel corso della legislatura e, di fatto, avrebbe introdotto un vincolo di mandato tra i deputati ed il Primo Ministro. Ovviamente, il progetto di riforma del 2006 non era perfetto e, non a caso al relativo referendum votai in senso contrario. Tuttavia, gli riconosco il coraggio di aver proposto un effettivo cambiamento della forma di governo che consentisse di avere stabilità e, soprattutto, responsabilità dei deputati e dei partiti verso il Governo che avevano dichiarato di voler sostenere durante le campagne elettorali. La riforma Renzi-Boschi, invece, nulla prevedeva in tal senso, limitandosi a proporre il superamento del bicameralismo perfetto, senza che ciò comportasse un rapporto più diretto tra elettori, Camera e Governo. Il progetto del 2006, ovviamente, deve ritenersi valido soltanto se si pone come obiettivo un rafforzamento del Governo ed una responsabilizzazione della Camera verso il medesimo ed i cittadini che l'hanno votato. Il cosiddetto premierato che ne sarebbe derivato, infatti, avrebbe posto il Governo, e soprattutto il Primo Ministro, al centro dell'assetto istituzionale. Tale impostazione può non piacere e, non a caso, propendo per un'altra forma di governo, che guardi al modello d'Oltralpe. E' doveroso riconoscere, però, che il sistema repubblicano debba scegliere con chiarezza quale organo porre in posizione centrale rispetto agli altri. In Italia, tale organo è attualmente il Parlamento, caratterizzato dal bicameralismo perfetto. Decidere di porvi il Presidente della Repubblica, come previsto in Francia, o il Primo Ministro, come avviene in Paesi come Germania, Israele o alcune monarchie costituzionali europee, non mina di certo il carattere democratico del sistema politico. Il progetto Renzi-Boschi, invece, lasciava il Parlamento al centro del sistema, riducendo invece il ruolo dei cittadini che, com'è noto, non avrebbero più partecipato alla designazione dei membri del Senato e, nello stesso tempo, non avrebbero eletto né il Presidente della Repubblica, né il Capo del Governo. Secondo tale progetto, inoltre, i deputati non avrebbero avuto alcun vincolo di mandato e non vi sarebbero state garanzie volte ad evitare l'affermazione di equilibri parlamentari diversi da quanto indicato in campagna elettorale. Una nuova proposta di riforma, quindi, dovrà principalmente stabilire quale organo porre al centro del sistema, stabilendo altresì con chiarezza le modalità attraverso le quali i cittadini possano concorrere alla designazione delle persone che devono assumere le cariche dello Stato, con la più ampia partecipazione possibile in tal senso.  


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