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BREXIT 2.0: come l’imprenditoria risponde alla politica

Brexit? Non tornavo a Londra da un po’. Mi è mancata, nei mesi scorsi, questa città che mi ha accolto e coccolato per anni. Mi mancavano le sue giornate uggiose e quegli sprazzi di sole nel clima rigido, il caffè lungo, la “rat race” nella metro e le passeggiate lungo il Tamigi.

Scrissi di Brexit il giorno dopo l’esito del referendum e della sensazione di instabilità che questa decisione popolare introdusse nella vita dei cittadini Europei e delle aziende che erano arrivate nel Regno Unito dall’estero. Mai avevo percepito come una decisione di natura politica potesse avere una ricaduta così netta e concreta nella vite personali di cittadini come me. Più volte nel seguito ho avuto modo di ritornare sull’argomento.

Cosa sarà del Regno Unito e dell’Europa dopo la Brexit (ammesso che convenga a qualcuno che essa abbia effetti reali e concreti nel medio-lungo termine) è difficile dirlo e non credo di avere le competenze per fare pronostici.

Ho imparato però a conoscere un po’ il pragmatismo inglese e ho passato delle giornate all’IOD (Istitute of Directors), di cui sono membro. E’ un’organizzazione che raggruppa oltre 30.000 amministratori di aziende di qualsiasi dimensione, con l’obiettivo di aumentare le competenze della classe dirigente, creare network e fare azioni di lobbying. E’ stata l’occasione per confrontarsi e raccogliere un po’ di informazioni su ciò che sta accadendo all’imprenditoria inglese, mentre procedono le contrattazioni tra UK e UE sul fronte politico e macro-economico.

Di sicuro alcune cose sono quanto mai evidenti:

  • le aziende inglesi parlano della Brexit (forse troppo, come sostiene Ed Wray, Director di Funding Circle), ma non tardano a prendere contromisure per adattarsi alla nuova situazione (ben prima del governo): il 51% dei membri dell’IOD (Istitute of Directors) si ritiene capace di gestire la transizione e il 41% ha già o prevede di avere a breve dei “contingecy plan”. Forse c’è anche questo dietro ai dati di crescita economica inattesa appena pubblicati in questi giorni;
  • nonostante la Brexit, i principali comparti dell’economia inglese non sembrano essersi fermati e non è cambiata l’attenzione verso ciò che realmente abilita la crescita. Il 54% dei membri dell’IOD ritiene che il modo migliore per aumentare la produttività sia l’investimento in tecnologie, il 52% i cambiamenti organizzativi e il 47% la formazione del personale. Ergo, massima attenzione ai temi concreti e poco, poco spazio al populismo e alle beghe politiche, nessuna autocommiserazione ed estrema focalizzazione;
  • con riferimento alla produttività e all’investimento in tecnologie, il focus sul fintech rimane alto, seppur con la nuova consapevolezza che alcuni big del finance potrebbero andare via e che le start-up fintech non sostituiranno le banche e gli istituti finanziari tradizionali (come risulta evidente anche in Italia), ma le affiancheranno. Le start-up ideano, realizzano e continueranno a realizzare prodotti che risolvono uno specifico problema di uno specifico gruppo di persone, ma avranno sempre bisogno dei business consolidati (o tradizionali) a cui affiancarli per poter erogare il miglior servizio al cliente (basti pensare all’importanza di aspetti abilitanti come infrastrutture, sicurezza, stabilità, affidabilità, autenticità che solo le aziende consolidate possono fornire);
  • di sicuro il tema dell’attrazione dei talenti (vera chiave del successo dell’economia inglese) dovrà essere affrontato in maniera sistematica e dovrà essere coniugato con le nuove tendenze protezionistiche, ma ritengo che, alla fine, il mondo delle imprese si adatterà: un’impresa ricerca il meglio per sè e lo persegue nonostante le barriere che possano essere imposte, ancor più in un mondo in cui le barriere sono sempre più labili, che ci piaccia o no. Brexit o no.

Insomma, sotto certi aspetti il clima che si respira è più di sfida che di vittimismo. Le aziende dimostrano di focalizzarsi oggi sulla strategia per ciò che sarà dopo Marzo 2019, invece di attendere le decisioni politiche, consapevoli che bisognerà fronteggiare minacce al fatturato, aumento dei costi, fluttuazioni nel cambio, difficoltà di accesso alle risorse e ai talenti, tassazioni nuove.

Spinto dalle fasce sociali meno attente e sulla scorta emotiva della campagna elettorale, un governo può adottare politiche protezionistiche (tanto in voga in queste settimane anche da noi e che la storia economica ha sempre dimostrato controproducenti), ma alla fine i sistemi si adattano alle sollecitazioni e lo fanno continuando a perseguire gli obiettivi per cui sono stati creati. Ergo, non si possono porre barriere alla crescita e allo sviluppo tecnologico in un mondo globale, perchè tanto quello che non fai tu lo farà qualcun altro e tu rimarrai tagliato fuori dal mercato.

Ero arrivato a Londra con l’idea di abbandonare questa città, sono ripartito da Londra con un nuovo entusiasmo. Londra rimarrà un centro e un osservatorio importante per la mia azienda. So per certo di dover adottare anche in questo contesto la filosofia della Lego, ossia l’innovazione incrementale: identifichi o devi fronteggiare un trend, crei un prototipo della soluzione, prodotto o del servizio capace di dare risposte a quel trend, fai un trial veloce ed economico, testi i risultati. Se funziona, procedi allo scale-up e lo consolidi, se non funziona, identifichi un nuovo trend e riparti da zero con lo stesso processo.
Bisogna adattarsi ai nuovi trend, qualunque essi siano, anche alla Brexit.

Questo post è stato pubblicato in anteprima su EconomyUp. Leggi.

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