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C’è una crepa in ogni cosa

C’è una crepa in ogni cosa

Iannozzi Giuseppe

Ogni riferimento a persone esistenti
o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Le luci alle finestre delle varie villette intorno alla sua casa erano state spente già da tempo, solo quella del suo studio rimaneva accesa. Il bastone l’aveva lasciato appoggiato alla scrivania, anche se non prevedeva di alzarsi molto presto dalla sedia: Aveva ancora tanto lavoro da sbrigare e poco, davvero poco tempo a sua disposizione. Per anni e anni aveva scritto poesie, le aveva pubblicate e in qualità di autore aveva riscosso un certo successo, anche se la sua fama rimaneva perlopiù legata all’attività cantautorale. Era stanco ma non così tanto da sentirsi pronto per dire addio alla vita terrena, e, a dirla tutta, non gli interessava molto di andare a conoscere D-o o il vuoto assoluto. Ogni giorno che passava si sentiva un po’ più debole, pur mantenendo alto l’interesse per quasi ogni cosa.

Cancellò un paio di versi che non lo soddisfacevano. Con il tempo aveva imparato che una buona poesia è architettura di parole sobrie ed essenziali, e non una tempesta sbattuta in faccia a qualcuno. Sin da giovane il fascino della rosa, simbolo di tanti e tanti poeti, non aveva avuto ragione di lui, semplicemente la malia della rosa non aveva mai ammorbato la sua anima; aveva però dovuto lottare contro una figura ben più insidiosa, contro Lilith (la donna oscura) e concederle spazio in alcuni suoi scritti. Perfino adesso stava combattendo contro Lilith e la sua oscurità, ma oramai la conosceva bene e, con largo anticipo, sapeva prevenire le sue mosse.
“Poeta, non hai ancora smesso di scrivere. Sono qui per te, lo sai”, lo stuzzicò Lilith.
Emanuel alzò lo sguardo sulla donna oscura e prese a ridere in maniera sommessa, seria; e senza smettere di ridere, la rimproverò: “Non sei cambiata di una virgola.”
“Non posso cambiare e non lo desidero, mentre tu, casanova, sei invecchiato e non ti reggi più in piedi”, disse la donna oscura, con superbia.
Emanuel, senza alcuno sforzo, rintuzzò le parole di lei: “Ma sono ancora mistico e amante, penitente e monaco.”

I versi che stava scrivendo gli piacevano, essenziali e graffianti. Con molta probabilità non ce l’avrebbe fatta a veder stampate le sue poesie, e questo un po’ gli dispiaceva perché prima della musica a sedurlo era stata la poesia, la poesia che gli aveva dato una certa fama, senza riempirgli mai le tasche o lo stomaco. Lo avevano definito il poeta dell’oscurità, ma non era vero. Il rimprovero che più spesso gli era stato mosso era vecchio quanto lui: “Sono belle ma troppo tristi le tue poesie.”
La lampada sullo scrittoio sfarfallò per alcuni secondi. “Lo so che è tardi, ma non posso ancora andare a letto”, disse a mezza voce. E si accese una sigaretta: “Il Signore vuole più buio e noi lo accontenteremo…” (1), disse ancora, con una certa solennità.
La schiena gli doleva forte. C’era stato un tempo in cui ogni cosa era stata fattibile; con la giovinezza e la salute dalla sua parte, le donne gli stavano dietro e lui stava dietro a loro, e qualche volta scriveva delle poesie per ricordarle meglio. Per eternarle.
Fece per alzarsi e sentì che il fiato gli veniva meno. Ghermì il bastone di cui non poteva più fare a meno e mosse qualche passo.
Lilith lo spiava e Emanuel lo sapeva: “Non sei cambiata, ami ancora starmi alle costole. E io mi sono alzato troppo presto dal mio posto; e ho così tanto lavoro da sbrigare. Il bastone mi stuzzica a fingermi più in forma di quanto non lo sia in realtà.”
Non ricevette una replica, o forse fece finta di non udire.
Non ci sarebbero stati più concerti e donne da amare, né un pubblico da salutare, questo lo sapeva.
Con l’aiuto del bastone arrivò davanti alla finestra: la città degli angeli, dei falchi e delle colombe. Con voce roca, tagliente e dolorosa, cantò alcuni versi, per se stesso – perché ne aveva bisogno: “Well, you know that I love to live with you/ But you make me forget so very much/ I forget to pray for the angels/ And then the angels forget to pray for us” (2)
“Con il tempo la tua voce è migliorata.”
“Dopo aver fumato migliaia di sigarette”, puntualizzò il poeta.
“Hai smesso di scrivere!”, osservò.
“Non ho smesso, mi sono preso una pausa. Queste poesie sono le ultime, non ce ne saranno altre. E non ho ancora finito di sistemarle”, spiegò alla sua nemica di sempre.
Lilith fece per baciarlo sulla bocca, ma Emanuel la allontanò con un colpo di bastone.
“Eri un casanova e sei diventato un villano!”, lo rimproverò la donna oscura.
“Ho avuto molte donne, e non ho mai aspirato ad averti come mia compagna.”
“E adesso?”
“La città che sto guardando riposa, e la notte l’avvolge, e tu, donna oscura, non mi piaci perché non mi sei mai piaciuta”, rispose lui.
Lilith scomparve dalla vista del poeta, che da dietro la finestra continuava a guardare Los Angeles.
Si era alzato dalla sedia prima di quanto avesse previsto e non andava affatto bene: doveva tornare a scrivere o le sue poesie, le sue ultime amate, sarebbero rimaste insoddisfatte.
“Scusate, il bastone mi invita a… voi potete capire!”, disse sottovoce. E tornò a sedere davanti alla scrivania, lasciando cadere il bastone a terra perché non lo stuzzicasse più ad alzarsi.

Nel posacenere riposavano diversi mozziconi di sigaretta. Aveva lavorato notte dopo notte, aveva speso le ultime energie scrivendo.
La notte era al di là della finestra, ma non aveva voglia di vedere, per l’ennesima volta, la città.
Ghermì il bastone e con non poca difficoltà riuscì a tirarsi in piedi. Le spalle gli facevano male e la schiena di più, e le gambe le sentiva legate, come addormentate.
Si disse che era ora di trovare la strada per il letto.
Le scale erano davanti a lui, come sempre, e non era affatto facile affrontarle.
Lilith gli alitava sul collo: lo bramava e di brutto anche.
Lilith sapeva d’essere in una posizione di vantaggio e non intendeva concedere a Emanuel la possibilità di farla franca. Non intendeva aspettare ulteriormente.
“Non adesso, c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce” (3), disse piano il poeta mentre scendeva lentamente le scale, con la vista che gli giocava strani scherzi di luce e di ombra.
Dopo aver sceso diversi scalini, fu suo malgrado costretto a fermarsi.
Lilith non ci pensò su due volte.
Il bastone scivolò via dalle mani di Emanuel, per andare a seppellirsi in fondo alle scale.
“Sei mio!”, urlò all’orecchio del poeta, prima che questi perdesse i sensi. “Sei mio!”, disse di nuovo, prendendo a studiare il volto di Emanuel. Per buoni dieci minuti studio il poeta riverso a terra, e alla fine comprese d’esser stata sconfitta ché la luce non voleva che saperne di sparire dal volto di Emanuel, di Emanuel Coifmann.

(1) Da You Want It Darker (2016), rimaneggiamento di un verso originale di Leonard Cohen.
(2) Versi da So Long, Marianne (1967) di Leonard Cohen.
(3) Da Anthem (1992), rimaneggiamento di un verso originale di Leonard Cohen.


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