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Gli schiavi d’America: 5 attendibili testimonianze

Gli Schiavi D’America: 5 Attendibili Testimonianze

Gli africani furono tra i primissimi abitanti delle colonie britanniche in Nord America.

Nei risultati dei censimenti del Seicento, in Virginia, ne viene menzionata la presenza.

Questi uomini, donne e bambini facevano parte dei circa dodici milioni di persone in stato di schiavitù che, dal XV al XIV secolo, dovettero affrontare il cosiddetto Passaggio di Mezzo, il viaggio dall’Africa al Nuovo Mondo a bordo di navi schiaviste sporche, sovraffollate e infestate dalle malattie.

La maggior parte di coloro che sopravvivevano alla terribile traversata veniva trasportata nelle colonie spagnole e portoghesi oppure nei possedimenti britannici e francesi ai Caraibi.

Le colonie britanniche nel Nord America continentale, che un giorno sarebbero diventate gli attuali Stati Uniti, rappresentavano un mercato secondario, destinazione finale per circa 600mila delle persone rapite.

Comunque, il numero di schiavi sarebbe alla fine cresciuto fino a superare i tre milioni nel 1850, una popolazione concentrata negli Stati del Sud dell’Unione; quelli settentrionali avevano invece abolito la schiavitù dopo la conquista dell’indipendenza dalla Gran Bretagna. Nel Settecento gli schiavi lavoravano nelle piantagioni, dove coltivavano prodotti come il tabacco in Virginia e il riso in Georgia e nelle due Caroline.

Alla metà del XIX secolo, i raccolti che consentivano il maggiore guadagno erano quelli di cotone, la cui produzione era concentrata negli Stati lungo la frontiera occidentale del profondo Sud, come il Mississippi, l’Arkansas, l’Alabama e il Texas. Il fenomeno della schiavitù americana, tuttavia, va considerato più di un semplice sistema economico.

Anche prima che il commercio di schiavi dall’Atlantico prendesse piede, nella società europea esisteva nei confronti degli africani un atteggiamento negativo, che si basava sul colore della pelle e su “paganesimo” e “ferocia”, che servivano a giustificare la loro riduzione in schiavitù.

La schiavitù per motivi razziali era perciò tanto un fenomeno sociale e culturale quanto economico. Nel 1861, anche se solo una minoranza di bianchi degli Stati del Sud possedeva davvero schiavi, la maggioranza di loro era preparata a combattere in difesa della schiavitù.

Propagandisti come George Fitzhugh, proprietario terriero della Virginia, negavano che la schiavitù fosse uno sfruttamento crudele e sostenevano che il sistema si basava su obblighi reciproci e responsabilità condivise tra un padrone e “la sua gente”, non sulla violenza a scopo di profitto. In realtà gli schiavi, affermava Fitzhugh, venivano trattati meglio rispetto agli “schiavi retribuiti” che faticavano nei mulini e nelle fattorie del New England.

Nel nord, gli abolizionisti come William Lloyd Garrison e Frederick Douglass (un ex schiavo sfuggito alla prigionia) rispondevano puntando il dito contro l’uso della frusta nel gestire gli schiavi, sui bambini strappati dalle braccia delle madri durante le vendite all’asta, sugli uomini che non riuscivano a proteggere mogli e figlie dalle aggressioni a sfondo sessuale.

Nella letteratura abolizionista, gli schiavi erano affamati, coperti di stracci e maltrattati. Come vivevano i discendenti delle persone portate via con la forza dalle loro terre in Africa? Che cosa ci rivela davvero la storia in merito alla loro vita in schiavitù? Ecco 5 attendibili testimonianze.

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