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Il Nabucco di Giuseppe Verdi in trincea a Roma

Il Nabucco di Giuseppe Verdi in trincea a Roma
Fermata Spettacolo

Superstiti, coppie di ragazzi e ragazzi, si salutano sulle eccelse note  di Giuseppe Verdi, ben dirette da Roberto Rizzi Brignoli, e lasciano la scena a un manipolo di soldati con elmetto nero e alabarda in resta, in affascinanti movimenti coregrafici, a firma Marta Iagatti, che introducono ad Abigaille, tutta in nero con cappottone, l’unica conferma del cast dello scorso anno, e poi al popolo giudeo, che lamenta la propria triste sorte.  Tutti abiti civili essenziali e siamo nel terra pieno di un trincea.

Fenena, la figlia di Nabucodonosor, re di Babilonia, vincitore su Gerusalemme, è tenuta in ostaggio, ed affidata a Ismaele, nipote del re di Gerusalemme, innamorato di lei, sul punto di tradire le sue genti, fino al punto di lasciarla libera e programmare la fuga. La schiera dei Babilonesi è guidata da Abigaille, anch’ella innamorata del giovane carceriere e disposta a tacere l’onta, a patto che egli rinunci alla sorella. Dal padre di cui è figlia, ma con origini da schiava, riceve una lettera che ne conferma lo scorno e fa erede al trono Fenena e non lei. Il desiderio di vendetta sale in seno alla prima e la spinge,  irriverente vero sorella e genitore, a far che essi decadano per mano di una schiava.

L’occasione si porge a tal proposito, quando Nabucco, divenuto re, si erge a Dio e nel comunicarli agli ebrei, irriverente del tempio e dei suoi fedeli, ne riceve in cambio un fulmine che lo getta al suolo con la corona a terra, alla sua sinistra. Ella prontamente l’afferra e se la pone in testa: ormai è regina e da ordine di portare il padre nelle sue stanze.

La scena cambia di poco e nel disegno di Andrea Belli e per la regia di Federico Grazzini, medesimi anche nell’edizione 2016, pone per sbarre, le stesse dei lavori in corso e qui troviamo le genti in scena ivi aggrappate ed esse, a sostituzione del Giordano, sono il confine tra il bene e il male ed unico conforto trovano nel gran pontefice Zaccaria, il potentissimo basso Riccardo Zanellato. Inutile ogni tentativo del confuso e debole Nabucco, di ottenere dalla nuova regina clemenza per se e la sorella.

Quando si risveglia dall’incubo spada in pugno, spalleggiato dal suo prode Abdallo, è pronto a marciare contro Gerusalemme, ma  il ”va pensiero” non tra i giardini pensili di Babilonia, non sulle sponde dell’Eufrate, ma dietro le tristi sbarre della innovativa scenografia,  gli ricorda di essere prigioniero. E alla vista di Fenena, in catene, cade in ginocchio e chiede aiuto al Dio di Giuda, perdono a lui e alla sua gente. La serena pacatezza di costei in cappottone marrone è degna palma al martirio e alle gioie celesti e le preghiere del sacerdote in cappottone bordeaux, completano il terzetto ora in scena. A loro si aggiungono Ismaele cappottone chiaro, Abdallo casacca e pantaloni nei colori militari, secondo il progetto dei costumi di Valeria Donata Bettella.

Le tre voci principali del baritono Gevorg Hakobyan, del mezzo soprano Erika Beretti, di Zaccaria con il coro come al solito ben diretto da Roberto Gabbiani, completate all’aprirsi delle genti dal sopraggiungere della regina, il soprano Csilla Boross, avvelenata ed esanime,  in atteggiamento di perdono al padre, ai fidanzatini e al pontefice, creano un aria di impareggiabile bellezza e bravura. Tutto finisce con Abigaille tra le braccia di Nabucco cui va la profezia del basso  “Servendo a Jehova sarai de’ regi il re!” e l’applauso dagli spalti, poco gramiti, dell’arena romana di Caracalla.

Il Nabucco di Giuseppe Verdi in trincea a Roma
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